Ora che il PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è stato presentato alla Commissione europea e inviato alle Camere, si apre una sfida enorme perché l’Italia possa al più presto attuarlo intercettando gli oltre 235 miliardi complessivi destinati al nostro Paese, coerentemente con quel cambiamento epocale che rappresenta per tutta l’Unione Europea il programma Next Generation EU, che mette in campo 750 miliardi di euro, dei quali oltre la metà costituita da sovvenzioni, per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme.
È più che condivisibile il monito lanciato recentemente dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché si assicuri un percorso tempestivo di esame e approvazione dei numerosi provvedimenti normativi che servono per attuare il Piano.
Al centro della ripartenza dalla crisi indotta dalla pandemia, tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale.
Il PNRR del Governo è ambizioso al punto giusto. In particolare, nella Missione 2, intitolata “Rivoluzione Verde e Transizione ecologica”, alla componente 1 “Economia circolare e agricoltura sostenibile” è riservato giustamente il ruolo di perseguire la sostenibilità ambientale per rendere l’economia sia più competitiva che più inclusiva, garantendo un elevato standard di vita e riducendo gli impatti ambientali.
Va detto, da questo punto di vista, che il PNRR varato dal premier Draghi riconosce al comparto agricolo il valore di risorsa strategica stanziando per questa componente 5,27 miliardi, da indirizzare su investimenti che vanno dalla logistica alle energie rinnovabili, dall’innovazione ai contratti di filiera. Rispetto al Piano presentato a gennaio scorso, le risorse destinate all’agroalimentare sono quasi 7 miliardi, dunque più che triplicate.
Si parla infatti di 6,8 miliardi di euro stanziati per innovare e rendere sostenibile la filiera agroalimentare, 800 milioni per la logistica, 1,5 miliardi per l’agrisolare, cioè la sostituzione delle coperture degli stabilimenti agricoli con impianti fotovoltaici, 500 milioni per l’ammodernamento delle macchine agricole, 1,2 miliardi, nel fondo complementare, per i contratti di filiera, 1,92 miliardi per lo sviluppo del biometano. Mentre 880 milioni, di cui 360 relativi a progetti già in corso con fondi nazionali, sarebbero destinati a invasi e sistema irriguo.
Sono sostegni di grande impatto, che se ben utilizzati andranno a migliorare un settore che su diversi standard è già al top in Europa e nel mondo, come sulla sostenibilità e sulla sicurezza alimentare. Il settore si è affermato come centrale e strategico per il nostro Paese. Nel 2019 abbiamo avuto quasi 17 miliardi di euro di valore alla produzione e un impatto economico in crescita per 17 regioni su 20. Il sistema ha retto anche nel pieno della pandemia, le lavoratrici e i lavoratori hanno garantito il cibo sulle tavole degli italiani. Nell’anno della pandemia, con 538 miliardi di fatturato, l’agroalimentare ha confermato di essere la prima ricchezza del Paese.
Ma sappiamo bene che dentro questi dati confortanti ci sono anche tante criticità. Imprese e lavoratori stanno pagando care le conseguenze sia dei cambiamenti nei consumi, indotti in tempi rapidi dalla pandemia, che dei cambiamenti climatici. Si sono sovrapposte la crisi climatica e quella sanitaria, le calamità naturali e la chiusura del canale Horeca, con danni ingenti alle produzioni, alle vendite e di conseguenza al lavoro.
Accanto alle calamità naturali e al dissesto idrogeologico, ci sono le calamità indotte dalla pandemia, alle quali la politica non ha saputo dare risposte. I decreti che si sono succeduti hanno stanziato tante risorse per le imprese agricole. Ma per i lavoratori solo i due bonus di marzo e aprile 2020, di 600 e 500 euro. Anche in caso di calamità naturali, mentre i rimborsi alle imprese sembrano funzionare più o meno bene, la stessa cosa non può dirsi per le lavoratrici e i lavoratori, che perdono milioni di giornate di lavoro e di conseguenza, in molti casi, anche i requisiti per accedere alla disoccupazione agricola, vera integrazione al reddito per centinaia di migliaia di famiglie.
Così le lavoratrici e i lavoratori agricoli sono stati colpiti in maniera pesante dalle conseguenze del Covid19 e di diverse calamità. Pensiamo soltanto agli operai agricoli degli agriturismi, soprattutto donne, totalmente fermi da oramai almeno 7 mesi. Pensiamo poi a quelli che lavoravano per imprese colpite dalla cimice asiatica, o a quelli che hanno perso milioni di giornate di lavoro a causa della xylella, o a quelli del comparto vitivinicolo che producevano per hotel, bar e ristoranti. Per non parlare di chi lavorava nel florovivaismo, affossato dallo stop agli eventi e alle cerimonie.
Per questi motivi, ci sembrava ancora più assurdo che la politica si fosse completamente dimenticata di loro. Motivo per cui abbiamo avviato una massiccia mobilitazione nazionale unitaria. Finalmente, dopo diverse giornate di lotta e dopo alcuni confronti istituzionali, abbiamo ottenuto rassicurazioni dal Governo sulla definizione di un bonus di sostegno al reddito anche per i lavoratori agricoli. Per cui, come ha confermato ieri lo stesso Ministro Patuanelli, il decreto Sostegni Bis, che dovrebbe essere approvato la prossima settimana, conterrà una risposta concreta che andrà finalmente ad integrare il reddito della categoria. Non solo, ma impegnandoci per spiegare le ragioni dei lavoratori, siamo riusciti ad ottenere anche un chiaro impegno da parte del Governo a battersi a Bruxelles a favore dell’inserimento della clausola della condizionalità sociale nella riforma della PAC. Altri punti, l’impegno a definire, nel confronto sul sistema degli ammortizzatori sociali, la cassa integrazione anche per il settore pesca e l’estensione della disoccupazione Naspi agli inquadrati con la legge 240, rimasti scoperti.
Ecco perché abbiamo scelto con grande senso di responsabilità di sospendere la mobilitazione: davanti alla disponibilità e agli impegni assunti dal Governo per sanare le ingiustizie che hanno riguardato finora le lavoratrici e i lavoratori agricoli, abbiamo voluto portare avanti un confronto per costruire norme e strumenti che, nelle condizioni date, ci consentano di rendere più attrattivo e qualificato il lavoro agroalimentare e quello ambientale.
Perché la vera sfida, sulla quale dovrebbe concentrarsi la politica, è proprio questa: sostenere il lavoro e i lavoratori in un comparto in grado di trainare con sé la ripartenza di tutto il Paese e la transizione ecologica. Per farlo serve una concertazione reale, non di facciata, anche per fare in modo che la gestione delle risorse ricada virtuosamente sull’occupazione, sul ricambio generazionale, sulla qualità del lavoro.