Oltre mezzo secolo fa, fa, Paolo VI è stato il primo Papa nella storia a recarsi in Africa nel corso di un viaggio internazionale, sottolineando in maniera molto forte alla vicinanza alle fragilità emergenti nel cosiddetto “Terzo Mondo” e rimarcando che, la Chiesa, “non sarebbe rimasta spettatrice passiva dell’Africa”. Tali principi di prossimità, sono stati messi nero su bianco nell’enciclica “Africae Terrarum” che, nell’ottobre 1967, ha avviato una soluzione alle problematiche dei Paesi africani i quali, in molti casi, avevano conquistato l’indipendenza politica e si trovavano di fronte a nuovi orizzonti e sfide di rinnovamento a cui, con nuova linfa, le comunità cristiane locali, cercavano di dare una risposta improntata alla fraternità.
Oggi, l’impegno tracciato da Paolo VI, sta proseguendo con Papa Francesco il quale, con un’azione di prossimità instancabile, ci ha ricordato più volte che, l’Africa “non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare, ma sorriso e speranza del pianeta”. Tutti noi quindi, in qualità di cristiani e alla luce dell’anniversario, più che mai attuale, dell’enciclica “Africae Terrarum”, siamo chiamati a rispondere con rinnovato slancio alle problematiche che attanagliano molti Paesi del continente africano, ovvero conflitti, migrazioni forzate e cambiamenti climatici. Non possiamo più voltarci dall’altra parte e abbiamo il dovere di essere prossimi a chi soffre, ad ogni latitudine del mondo.