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Acqua pubblica e maturità della nostra democrazia

È prossimo l’approdo alle Camere della proposta di legge a firma della deputata cinquestelle Federica Daga, a seguito dell’esame in Commissione Ambiente, che nella sostanza ricondurrebbe la gestione dell’acqua che arriva nelle nostre case in capo alle aziende di diritto pubblico. Dopo otto anni dal referendum con il quale la maggioranza dei cittadini votanti espresse parere positivo alla gestione pubblica dei servizi idrici, il legislatore è chiamato a confermare e sancire oppure disattendere il responso popolare. D’altronde, quella nostrana è una democrazia rappresentativa secondo cui il popolo è costituzionalmente interpretato e impersonato dai singoli parlamentari i quali agiscono in libertà senza vincolo di mandato. Il referendum italiano, sebbene previsto e regolamentato, è esso stesso non vincolante per il legislatore (il Parlamento) nella sua forma propositiva. E così, nelle prossime settimane, potremmo assistere al prevalere degli interessi privatistici di grandi potentati economico-finanziari per mezzo di esecutori liberi di rappresentare e interpretare il voto popolare che li ha legittimati a fare l’interesse comune.

Si possono sciorinare fiumi di dati e di statistiche a dimostrazione dei benefici di una gestione che sia pubblica, privata o integrata; è quello che faranno i fronti opposti dagli scranni di Montecitorio o nei media, rivendicando le proprie verità ideologiche e le definitive analisi economiche. Ma non è questo il punto, non lo è più in questa fase storica del Paese. Il dibattito è già avvenuto. La decisione presa. L’acqua, l’elemento primo, il fondamento della vita biologica, è oggetto contemporaneo di proprietà privata al pari di un qualsiasi bene di consumo superficiale, alla mercé della grande industria e del marketing più esasperato; è recente il caso dell’acqua firmata dalla influencer Chiara Ferragni, al costo di 8 euro a bottiglia: le molecole sono le stesse ma la suggestione, evidentemente, è chimera di appagamenti incomparabili. Il mercato libero, questa entità apparentemente astratta e tuttavia fondata concretamente su leggi e trattati decisi e votati dai rappresentanti di una volontà popolare nondimeno derogabile, ha permesso che anche l’essenziale biologico venga svilito, o esaltato, secondo i punti di vista, a feticcio di consumo, in un mondo dove ancora più di un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile, con conseguenze nefaste. Il popolo italiano si è espresso in merito nel lontano 2011; il Parlamento volente o nolente dovrebbe orientare la sua azione legislatrice verso questa indicazione comune, disattendendo finalmente una concezione troppo elitista della politica. La teoria dell’inefficienza della gestione pubblica è fondata su argomentazioni che non reggono al confronto con la volontà dei cittadini, un corpo eterogeneo fatto di intelligenze e di buon senso, che è capace di decidere e di assumersi la responsabilità dei propri destini. Nelle prossime settimane non sarà in gioco solo il destino del servizio idrico, piuttosto potremo valutare la maturità della nostra democrazia.

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