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Comprendere il senso della morte per riscoprire la bellezza della vita

Nel mondo occidentale, assuefatto dalla potenza illimitata della tecnica, è necessario un consapevole percorso di maturazione

Da quando il mondo occidentale ha iniziato ad estromettere il tema della Morte dalla narrazione quotidiana, la vita stessa è ripiegata su un eterno presente. Nell’arco della modernità l’uomo occidentale ha attribuito sempre maggior significato all’impatto emozionale dell’esperienza individuale, sottraendo significato alla mite, ma costante, ricerca della gioia collettiva. L’esclusione di quel limite esistenziale dettato dal ciclo meccanicistico nascitacrescita-morte ha privato l’Uomo Occidentale di una virtù che l’ha contraddistinto per molti secoli: l’accettazione della sua finitezza. Tale accettazione ha trovato il suo compimento prima nell’arte tragica dell’uomo greco e poi nell’umile e sconfinata bontà dell’uomo cristiano. Il primo ha legato indissolubilmente la vita alla bellezza, all’armonia della forme; il secondo ha proposto una vita lieve, ove la serena accettazione della morte introduceva alla gioiosa consapevolezza di terminare il cammino mondano nello stesso momento in cui accedeva alla rocca dell’essere ultimo, il regno di Dio.

Il mondo occidentale, assuefatto dal potenziamento illimitato della tecnica, dalla fame bulimica del consumismo, dall’idea di perfettibilità mai compiuta dell’individuo, ha assunto come imperativo della propria esistenza una convinzione del tutto illusoria: non potrà esserci un ente indefinito, un oggetto indeterminato, in grado di sconvolgere la propria quotidianità; in un vissuto quotidiano perfettamente codificato, organizzato entro un approccio scientifico, secondo i criteri dell’efficienza e della performance, niente e nessuno sarà in grado di introdurre una variabile capace di turbare profondamente l’esistenza umana e le innumerevoli certezze ad essa legata.

Oggi, la comparsa del Coronavirus smentisce questa convinzione e mette a nudo tutte le sue debolezze. La sostanza intangibile di questo nemico, l’assenza di un corpo entro il quale identificarlo, l’inconsistenza di un oggetto statico da assumere come bersaglio, non solo mina le nostre certezze ma, al contempo, introduce una verità: il solo modo per vivere pienamente la vita è essere consapevoli che la morte non è un campione da poter oggettivare a dato scientifico; la morte non è una variabile da poter controllare entro un range statistico-descrittivo. La morte esula dall’approccio empirico e si pone, nel verso opposto, come ineludibile costante della specie umana e di ogni altra specie di vita. Solo prendendo atto di questa verità diviene possibile affrontare la morte con grande slancio vitale. Solo attraverso questa piena consapevolezza diviene possibile opporsi ad essa con l’inaudito vigore che le antiche civiltà hanno narrato. Riconoscere l’inevitabiltà della morte è il primo fondamentale gesto per forgiare quella fermezza d’animo con la quale diviene possibile affrontarla. La consapevolezza della morte, intesa come limite posto dinnanzi all’esistenza sensibile, è il primo tratto che l’uomo deve percorrere per giungere a quella perfetta osmosi fra sentimenti contrastanti, in cui l’audacia e l’ardore, dinnanzi alla minaccia, sono temperati dalla ragionevolezza e dal buon senso. Solo in quest’ultimo caso la comunità è in grado di affrontare il pericolo che incombe senza cadere nell’avventatezza dell’uomo irrazionale e senza incappare nel tremulo spaesamento dell’uomo pavido.

L’essere umano è terrorizzato dall’idea della morte e del “limite”, al punto da arrivare a pretendere di ignorarlo o dimenticarlo, strutturando una profonda e distruttiva illusione di immortalità. Tale processo è estremamente pervasivo e disfunzionale, poiché, nel sopprimere la consapevolezza che il nostro futuro avrà una fine, inevitabilmente perderemo il valore di ciò che possediamo nel qui ed ora, il nostro presente. Questa dinamica di svalutazione intacca il modo in cui percepiamo noi stessi, il valore che diamo a chi abbiamo accanto, a ciò che abbiamo raggiunto e conquistato; nulla è abbastanza se non abbiamo coscienza del limite di ciò che possiamo ottenere.

Comprendere il significato della morte, fin da piccoli, aiuta a riflettere sul valore della vita. Basti pensare a quei bambini, che non sono coinvolti dai genitori nell’impatto con la morte inaspettata o prematura di figure affettive fondamentali.

E’ la paura dei piccoli o degli adulti? E’ la paura di entrambi. Solo attraverso un percorso di consapevolezza è possibile aiutare i bambini a dare un senso a ciò che accade attorno a loro, garantendo la sicurezza necessaria al loro processo di crescita. Assumere la piena consapevolezza dell’inevitabilità della morte è il solo modo di intraprendere un processo di maturazione in cui ritroviamo noi stessi.

La vita è in qualche modo eterna. La nostra anima appartiene alla vita e va oltre il percorso che inizia con la nascita e termina con la morte. Nasciamo senza alcuna esperienza personale, esistiamo, ci siamo, per dare un contributo alla vita.

Ecco perché dobbiamo difenderla e promuoverla in ogni fase, dal suo inizio al suo tramonto naturale, in tutte le condizioni di precarietà, ora più che mai, in questo tempo di incertezza e di spaesamento in cui si trova la nostra società.

L’onnipotenza ci ha messo di fronte alla compiutezza dell’essere umano, alla sua impotenza. Le nuove tecnologie sembrava ci consentissero di dominare il mondo. Il narcisismo dell’Io regnava sul Noi, Antigone si affermava su Edipo, apparivamo liberi da ogni vincolo e vincenti su tutto.

Ora invece prevale la paura di ciò che non si riesce a controllare. Si avverte ora la necessità di un tempo e di uno spazio, il diritto e il dovere di fermarsi, poiché ciò che appariva remoto e lontano da noi si è palesato senza alcuna discriminazione. Scompaiono i confini, le gerarchie e affiora la necessità di non restare chiusi nel nostro egoico senso di onnipotenza, a causa del quale veniva meno ciò che prima appariva scontato: il contatto con l’altro. Esempio lampante di questa mancanza sono i nostri giovani; la speranza è che possano ritrovare il piacere di incontrarsi, di parlare guardandosi negli occhi. Riscoprire la necessità di prendersi cura dell’altro ci porta a distrarci dal nostro io per pensare al noi. Solo attraverso questo passaggio potremmo scoprire un io più autentico e consapevole. Forse questa pausa dall’irrefrenabile corsa verso il successo, verso il soddisfacimento dei propri bisogni, segnata da un fallimento esclusivamente personale, rappresenta un’occasione per tutti noi.

Ci rialzeremo, è certo, ma, nel frattempo, riscopriamo il piacere di stare in con-tatto. Affidiamoci al sorriso dei bambini; quel sorriso che abbiamo affidato ad un tablet. Volgiamo gli sguardi ai nostri familiari, riscopriamo il piacere di leggere un buon libro. E’ tempo di fermarsi. Ripartiamo dai nostri bambini, il nostro futuro. Ripartiamo dall’educazione, dal rispetto per la dignità umana, rimettendo al centro la persona con le sue fragilità, i suoi limiti, le sue paure e le sue emozioni. Solo così potremmo uscire da quella sterile, seppure pervasiva e imperante, modalità comportamentale per costruire insieme, ma tutti insieme, una polis che sia protesa al bene comune.

Il nostro monito è di esaltare la vita, utilizzare tutti i colori dell’arcobaleno per colorarla, superando l’inverno del panico e l’angoscia in cui tutti siamo caduti.

Serenella Pesarin, Sociologa, Psicologa – Psicoterapeuta, esperta nel settore penale e minorile, Presidente ” Consolidal sezione romana”

Valentina Pirrò, Psicologa – Psicoterapeuta, Criminologa e Socio Fondatore “Consolidal Sezione Romana”

Alessandro Ugo Imbriglia, Sociologo e Socio Fondatore “Consolidal Sezione Romana”

Simona Montuoro, Psicologa – Psicoterapeuta, Segretario “Consolidal Sezione Romana”

Assunta Zaffino, Psicologa – Psicoterapeuta, Rappresentante delle donne e Segretario Nazionale “Consolidal sezione Romana”

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