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Municipalizzate di Roma, maglia nera d'Europa

Sono passati tre anni dall'insediamento in Campidoglio della sindaca Virginia Raggi e per tracciare un bilancio di Roma bisogna guardare ai numeri. Per cui è inevitabile, all'indomani dei festeggiamenti per le prossime Olimpiadi invernali di Milano, che i riflettori si accendano sulla Capitale. Se il centro meneghino s'impone, infatti, come modello di città virtuosa, a Roma tocca leccarsi le ferite, che sono due cicatrici infiammate da anni: si tratta delle due municipalizzate, Atac e Ama, che pure un titolo lo hanno vinto, attestandosi come le due aziende municipalizzate peggiori d'Europa. Le società, che la sindaca aveva promesso di risanare, da anni non chiudono un bilancio in positivo, anzi i loro conti sono stati in grado di appesantire il debito del Campidoglio di oltre nove zeri. A dispetto dell'annuncio vittorioso della sindaca sul “bilancio in attivo” nell'ultimo semestre del 2018, l'Azienda del trasporto pubblico romano, per esempio, conta un debito di oltre 1,3 miliardi di euro, che va a sommarsi ai 370 milioni di debiti contratti tra il Comune e aziende private

Atac, quanto mi costi

L'Azienda, il primo gruppo di trasporto pubblico in Italia, conta oltre 12.000 dipendenti che, uniti a quelli di Ama, la società preposta allo smaltimento dei rifiuti urbani, superano i 20.000. Se nel 2015 la perdita registrata dal bilancio di Atac si attestava a circa 70 milioni di euro, i vertici della società erano stati fin troppo ottimisti sugli sviluppi futuri: nel 2016, l'azienda ha chiuso i conti con una perdita di 213 milioni che, nel 2017, ha raggiunto i 210 milioni di euro. I vertici, all'epoca erano stati nominati dall'ex commissario prefettizio, Francesco Paolo Tronca, hanno avuto non poche impasse con la giunta Raggi, che destituito tutti per il manager Paolo Simioni. Simioni ha ottenuto dai giudici il via libera al piano di rientro dal debito di 1,4 miliardi di euro, ma il bilancio 2018 ancora non è stato approvato e gli interessi sui debiti, grazie al concordato preventivo accordato dal tribunale fallimentare nel luglio scorso, sono congelati da oltre un anno. L'annosa questione dell'Atac è stata tracciata la scorsa settimana dalla Commissione Mobilità del Campidoglio. È emerso, così, che ogni giorno, in media, sui mezzi vanno fuori uso 200 climatizzatori, il 20% dei guasti totali. E poco importa la volontà della sindaca di “allineare la città ai parametri delle principali capitali europee”: i mezzi della società sono tra i più vecchi d’Europa, con un’età media dei bus di circa 12 anni, contro i 6 anni e mezzo di Londra e di Parigi. Nella Città Eterna sono in funzione veicoli anche di 15 anni, che per un malfunzionamento restano bloccati ore nelle officine, alle prese con pezzi di ricambio a volte insufficienti. E intanto l’esasperazione dei cittadini cresce. A ciò si aggiunge il disagio della metropolitana di Roma: da giugo fino agosto la metro A è oggetto di lavori di manutenzione e sostituzione dei deviatoi e ciò comporterà, nei prossimi due mesi, una paralisi quasi totale dalla strategica arteria che collega Anagnina a Battistini. Da mesi, la fermata delle metro A Repubblica è chiusa e spesso ci s'imbatte in fermate sguarnite di pensiline: un disagio notevole con il caldo estivo. Ma i cittadini non fanno solo spesa sulla loro pelle del disagio: negli ultimi nove anni, l’Atac è costata al contribuente circa 7 miliardi di euro tra sussidi e perdite, con spese che continuano a crescere. Il costo per vettura a chilometro nel 2017 è aumentato a 6,50 euro, tre volte di più che nel resto d’Europa. I costi del personale pesano circa 12 volte il costo del carburante per  i mezzi, con un tasso di assenteismo che può superare il 12%: ciò signifia che circa 1.500 persone al giorno non si presentano a lavoro.

Ama o non Ama?

Non va meglio per Ama, l'azienda che gestisce la raccolta e lo smistamento dei rifiuti nella capitale. Nel 2015 e nel 2016, l'azienda ha chiuso con due bilanci positvi – rispettivamente 893.000 e 626.000 – ma nel 2017 il bilancio consuntivo non è mai stato chiuso, assieme a quello del 2018. Ad aprile del 2017, la giunta s'era impegnata a tracciare, nel piano rifiuti, l'obiettivo della raccolta differenziata al 41% che l'azienda è stata in grado di superare, rasentando oltre il 44%. Nonostante la perdita di 0,3 punti di percentuale nella raccolta differenziata lo scorso anno, il contratto sottoscritto tra Campidoglio ed Ama punta a raggiungere il 55% nel 2020. Una visione che non fa i conti con la realtà. Se la giunta pentastellata da sempre si oppone a termovalorizzatori e inceneritori, mancano adeguate strutture deputate al compostaggio della differenziata nella Capitale: dei due centri di Salario e Rocca Cencia, è rimasto attivo solo quest'ultimo perché il primo è stato devastato da un incendio nel dicembre scorso. Per sopperire alla mancanza di centri di compostaggio, ha saturato tra il 40 e il 70% della capacità i tre impianti delle province di Viterbo, Latina e Frosinone. Oggi Ama si appoggia agli impianti di Malagrotta, gesititi dalla società Colari, commissariata nel 2013 e attualmente gestita da un amministratore giudiziario. Come sottolineato dal direttore generale di Arpa lazio, Marco Lupo, nell'audizione alla Camera del 12 giugno, su 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti oggi circa “1 milione di tonnellate esce dalla città metropolitana di Roma a impianti di trattamento o smaltimento in base alla tipologia di rifiuto”. L'immobilità dell'azienda si riflette nella stessa struttura aziendale: in tre anni, il Consiglio d'amministrazione ha cambiato i vertici per ben sei volte. Insomma, su tutti pesa una paralisi mentre i cittadini attendono un cambio di direzione. Molti punti restano aperti visto che, la legge Madia prevede che la pubblica amministrazione rimetta a gara i servizi che gestisce in proprio nel caso di registri passivi per tre anni di seguito. Più oltre, resta solo la procedura di fallimento.

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