Una vicenda dolorosa quella della giovane studentessa cinese Zhang Yao, a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti e deceduta dopo essere stata investita da un treno mentre inseguiva due scippatori, nei pressi dei binari ferroviari adiacenti al campo rom di via Salviati, in zona Tor Sapienza. Il caso aveva contribuito ad accendere i riflettori su una delle più spinose questioni della Capitale, incastonata nell’estrema periferia orientale e, perlopiù, combattuta dai residenti dei quartieri limitrofi, la stessa Tor Sapienza in primis: la morte della ragazza ha successivamente portato le istituzioni locali a effettuare un’operazione di sgombero dei rifiuti accumulati sui marciapiedi che costeggiano il campo. Un primo intervento dopo anni di silenzi e proteste che, tuttavia, non ha potuto influire più di tanto né sulla vera e propria riqualificazione dell’area, né tantomeno sul percorso della giustizia nei confronti dei due giovani rom che hanno rapinato alla giovane. Nella giornata del 28 febbraio, infatti, è arrivata la notizia del loro patteggiamento di pena, la quale si attesta rispettivamente sui due anni per S. Sherif (tornato già libero dopo un periodo ai domiciliari, con pena sospesa in quanto incensurato) e un anno e mezzo per G. Ramovic (il quale ha invece precedenti penali), che li trascorrerà ai domiciliari .
L’accusa per entrambi è di furto con strappo. Ma, al di là della natura delle accuse a loro carico, la questione ha imposto in questi mesi una riflessione più ampia, che spazia tra la semplice constatazione dei fatti e il dramma umano vissuto dalla famiglia della giovanissima studentessa, ambivalenza che, come prevedibile, ha diviso gran parte dell’opinione pubblica. Il tragico episodio verificatosi lo scorso 5 dicembre, comunque, ha certamente riportato l’attenzione sulla delicata situazione vissuta attorno a quella che, fra roghi tossici e lamentele dei cittadini in tema di legalità, è considerato uno dei nodi più sensibili della periferia capitolina e, in generale, dell’intera città di Roma. Va da sé che, le operazioni di bonifica (con conseguenti turnazioni di vigilanza operate attorno all’area in questione rappresentano solo un’appendice di una problematica che, da anni, stenta a trovare una vera e propria soluzione. E, altrettanto sconfortante, è che queste, dopo richieste insistite e protratte a spron battuto dalla popolazione locale, sono state attuate solo dopo il manifestarsi di una tragedia.