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Marrazzo, in aula il carabiniere che lo filmò nell’abitazione del transessuale: “Non chiedemmo soldi”

“Nessuna estorsione, né tantomeno un tentativo di ricatto”. Cominciano così le dichiarazioni in sede processuale di Luciano Simeone, il carabiniere che, assieme ad altri due colleghi (Carlo Tagliente, Nicola Testini), fece irruzione nell’appartamento del transessuale “Natalie” in via Gradoli, a Roma, il 3 luglio 2009, trovandovi anche l’allora presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. In quell’occasione, i militari girarono un filmato di quanto trovarono nella casa tentando poi, senza successo, di commercializzarlo: “Quando trovammo Marrazzo in pieno stato confusionale, io e il mio collega Carlo Tagliente girammo un video a nostra tutela perché venisse documentato tutto quello che c’era in quella casa, dai tanti soldi sparsi ovunque, alla cocaina lasciata su un piatto. L’errore più grande fu quello di aver tentato di commercializzare il filmato”.

“Comportamento non professionale”

Un video che, secondo quanto spiegato dal carabiniere in aula, dopo essere stato modificato tagliando le parti che coinvolgevano direttamente i militari nelle riprese, “era diventato per noi materiale buono per il gossip da vendere al miglior offerente”. Un comportamento, questo, definito da Simeoni “sicuramente non professionale” ma non uno strumento per ricattare l’ex presidente regionale: “Il filmato visto per esteso farebbe capire che diciamo la verità”. Ben quattro, secondo quanto dichiarato, i tentativi di piazzare il video, tutti falliti: “Rifiutammo un’offerta di 40mila euro da un’agenzia fotografica di Milano per il video – ha proseguito il carabiniere – un po’ perché la ritenemmo bassa, un po’ perché ci accorgemmo di essere seguiti e controllati dal Ros”.

L’incontro con Marrazzo

Stando a quanto riportato da Simeoni davanti ai giudici della nona sezione penale, l’irruzione nella casa di “Natalie” era un’azione scaturita da una segnalazione effettuata al collega Tagliente da un suo informatore (un pusher, morto un paio di mesi dopo): “Che Marrazzo fosse un abituale frequentatore dei trans della zona e consumatore di stupefacente era cosa piuttosto risaputa ma trovarselo di fronte lì in quella casa, in mutande e camicia, ci lasciò parecchio stupiti”. Aver incontrato il presidente in quella circostanza, ha spiegato il carabiniere, ha causato impasse e imbarazzo nel prosieguo dell’azione: “Lui era chiaramente poco lucido, ci pregò, ci implorò di lasciar stare… Molto velatamente, anche se non la recepii come minaccia, aggiunse che conosceva i vertici dell’Arma e che se lo avessimo portato in caserma la cosa avrebbe creato problemi a lui ma anche a noi”.

“Nessun ricatto”

In sostanza, il video sarebbe stato girato, ha detto Simeone “perché avrebbe potuto tutelarci se avessimo proceduto portando il presidente Marrazzo in caserma”, negando però più volte di aver mai ricevuto denaro dal politico ma sostenendo di aver parlato dell’esistenza del filmato al collega Antonio Tamburrino, una conversazione che avrebbe fornito l’idea di commercializzare il video: “Mi disse che conosceva un paparazzo, gli avrebbe proposto la vendita”. L’amico ne avrebbe poi dovuto parlare con la sua agenzia di Milano. L’udienza in aula riprenderà il prossimo 20 giugno, con l’esame degli altri imputati: i capi d’accusa sono una ventina.

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