Requisitoria infuocata quella dei pm all’interno dell’aula bunker di Rebibbia, dove è in corso il processo di Mafia Capitale. Dopo gli interrogatori di Salvatore Buzzi, per il quale si sono rese necessarie ben sette udienze, e di Massimo Carminati, l’ex nar interrogato per due giornate, è stata la volta delle requisitorie dei pm, tra i quali l’aggiunto Paolo Ielo che, nel corso del suo turno, ha usato toni duri sulle dichiarazioni dei due principali imputati, definendo il ras delle cooperative “un caso di scuola di inattendibilità assoluta e radicale”, mentre le parole del “Cecato” sono state ritenute di un’attendibilità “pari allo zero”. I riferimenti del procuratore sono ben precisi: nel caso di Buzzi, ad esempio, cita l’interrogatorio del 30 marzo 2015 quando, davanti ai pm, invitò a spegnere il registratore giunto a un determinato momento delle sue rivelazioni. “Continua a dire ‘se lo spegne ne parliamo’. Può essere attendibile una persona del genere?”, ha tuonato Ielo. E ancora, il procuratore ricorda lo stesso interrogatorio in videocollegamento dal carcere di Tolmezzo, dove Buzzi è sottoposto al 41bis, durante il quale ha affermato di aver mentito molte volte nelle conversazioni telefoniche, persino a Carminati: “Alzi la mano chi avrebbe mentito a Carminati libero”.
“Intercettazioni consone al 416bis”
Per quanto riguarda il “vecchio fascista degli anni 70″ (come egli stesso si è definito), Ielo definisce la sua versione radente all’inattendibilità: “Ha cercato di raccontarla come pensava gli convenisse”. Ma sul fatto che quella di Mafia Capitale sia una “mafia vera”, il procuratore non ha dubbi: “Se queste intercettazioni fossero state pronunciate dai calabresi o siciliani sarebbero state credute e ritenute consone al 416bis. Perché non dovrebbero esserlo in questo processo? L’articolo 416bis è stato applicato come si applica nel resto della nazione. E sa perché sono attendibili? Perché le hanno pronunciate spontaneamente. Si sono detti responsabili di reati mentre parlavano tra loro. Ascoltatele anche voi e verificate se il tono di quelle dichiarazioni e di quelle conversazioni fosse quello di quattro amici al bar che chiacchieravano”. Ed è esclusivamente al tribunale che il procuratore si rivolge, evitando di interloquire con i legali dei 46 imputati, rei di aver tentanto, stando alle sue parole, di smontare la valenza del processo. Da qui è infatti partita la sua requisitoria, “dalla fandonia della struttura associativa di tipo mafioso che non ci sarebbe: gli imputati sono tutti qui detenuti per 416bis e non si è sgonfiato nulla malgrado le archiviazioni”.
Cascini: “Mafia nuova che non è nuova”
Quella con cui si ha che fare, non è solo una mafia effettiva ma anche una “mafia nuova che non è nuova”, secondo quanto spiegato dal pm Giuseppe Cascini, durante il suo turno di requisitoria. Si tratta di un’organizzazione mafiosa “diversa da tutte le altre organizzazioni, perché non è importata ma nasce in questa città” articolandosi tra “l’acquisizione di appalti e commesse pubbliche” e il “recupero crediti violento”. In questa seconda “attività” avrebbe agito proprio Carminati: “E’ uno che ha sempre fatto il ‘recupero crediti’ con metodi violenti”. Una mafia nata e cresciuta nell’ambiente romano dell’eversione criminale infestante degli anni 70-80, e sviluppatasi in un contesto che non accetta un capo ma dove “da decenni vige un patto di convivenza tra organizzazioni autoctone e provenienti dai territori tradizionali”, con uomini come Senese, Carminati e Fasciani che “hanno fatto da garante a questa pax, in cui non si ammazza e non ci sono guerre tra bande”. E Cascini tira dunque le somme su Mafia Capitale, una storia che “parte dai pollici spezzati dietro al benzinaio e arriva al sindaco della città. E solo guardandola nella sua dimensione unitaria noi riusciamo a coglierne la mafiosità”. Secondo il pm, “non dobbiamo stabilire oggi se c’è la mafia a Roma, sappiamo che c’è… ma se questa associazione rientri nel perimetro del 416 bis”.