Mafia Capitale, il legale di Carminati: “Quello del Mondo di mezzo resta un processetto”

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“Farsesco”, “dantesco”: sono solo due degli appellativi utilizzati dal legale Giosuè Naso, difensore di Massimo Carminati, nel corso della sua arringa nell’aula bunker di Rebibbia. Per evidenziare le caratteristiche del maxi processo di Mafia Capitale, l’avvocato ha fatto ricorso ai versi conclusivi della cantica dell’Inferno che, come da lui stesso dichiarato, aveva citato anche durante il processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, risalente al 1979. Anche in quel caso, il penalista difese l’ex Nar e, come spiegato, fra i due processi vi sono delle similitudini: “Sia lì che qui non si è processato un fatto di reato ma si sono investigati degli imputati per quello che erano o per quello che qualcuno credeva che fossero. Ma se quello è stato un processo drammatico, questi è un procedimento farsesco”.

“Intercettazioni a strascico”

Secondo Giosuè Naso, quello sul Mondo di mezzo “dopo 240 udienze, 10 milioni di carte e 80mila intercettazioni resta un ‘processetto’ dal punto di vista tecnico-giuridico., resta un processetto dal punto di vista tecnico giuridico… Solo la procura di Roma e il Ros potevano prendere sul serio Mondo di mezzo, un romano diceva ‘questi so cazzari’… Sfido tutti e cinque i procuratori della Repubblica che si sono applicati in questo procedimento a indicarmi qual è il processo nel quale Massimo Carminati viene definito il ‘pirata’ o il ‘cecato'”. Per l’avvocato dell’ex Nar, il meccanismo tra i due processi “è stato lo stesso: riversare sul tavolo del giudice una massa incontrollata di carte per impedirgli il controllo di legalità…  Non c’è una questione che meriti una mezz’ora di studio, che mi abbia costretto a una ricerca giurisprudenziale”. Questo, secondo Naso, è “un processo che si trascina da quasi tre anni intercettazione dopo intercettazione, una marea di intercettazioni fatte a catena, a strascico”.

“A Carminati spararono a bruciapelo”

L’arringa del penalista è proseguita analizzando la figura di Massimo Carminati all’interno del processo, citando anche l’episodio del 1981 nel quale perse l’occhio sinistro: “Questo – ha spiegato ancora Naso – dimostra che i processi si fanno con quello che scrivono i giornalisti. E poi è un problema di dignità: non porta una benda per apparire affascinante, ma perché gli hanno sparato in faccia a bruciapelo. Non è vero che gli si sparò in macchina, scese con le braccia alzate e gli si sparò in faccia”. E ancora: “Gli agenti della digos gli hanno sparato per ucciderlo perché Carminati doveva diventare da morto l’autore della strage di Bologna. Questa è la verità. E’ caduto nel trabocchetto teso da Cristiano Fioravanti che si era pentito. Se volete cercare rapporti equivoci con le istituzioni cercate in quella direzione”. Poi, l’avvocato ha spiegato che “dal tribunale mi aspetto una sentenza politicamente scorretta che non tenga conto di niente che possa in qualche misura intaccare il vostro libero convincimento e che sia resa in ossequio esclusivamente alle emergenze del processo”. Una sentenza, quella di Mafia Capitale, che dovrebbe arrivare il prossimo 18 luglio.

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