Caso Cucchi, si chiude l’inchiesta bis: 3 carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale

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Sono trascorsi 8 anni dalla morte di Stefano Cucchi, fatti di processi, ricorsi, appelli e battaglie da parte della famiglia per avere chiarezza su quanto accadde quella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 al giovane geometra romano. Dopo ulteriori 24 mesi di indagini, arriva la clamorosa svolta: stando a quanto affermato dalla Procura di Roma, guidata dal pm Giovanni Musarò e dal procuratore Giuseppe Pignatone, il decesso, avvenuto dopo 6 giorni dal fermo, nell’Ospedale “Sandro Pertini”, sarebbe da imputare al violento pestaggio subito.  Di conseguenza, arriva l’accusa di omicidio preterintenzionale nei confronti dei tre carabinieri della stazione Appia che ne furono autori: si tratta dei militari Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco. Si chiude così la cosiddetta “inchiesta bis”, iniziata nel 2014 e conclusa nella mattinata del 17 gennaio, con la contestazione, per la prima volta dall’inizio dell’indagine, di tale capo d’imputazione.

Tale contestazione, oltre a scongiurare l’incombente rischio di prescrizione, stabilisce una nuova presunta verità, quella a lungo sostenuta dai familiari del giovane: Stefano Cucchi è stato ucciso. Non si è trattato, dunque, né di epilessia (ipotesi ritenuta infondata) né, tantomeno, di nessun’altra delle motivazioni fin qui addette a più riprese. Sarebbero state le percosse subite nella Caserma Casilina ad aver determinato la morte del ragazzo il quale, dopo il suo fermo per spaccio e detenzione di stupefacenti, attuato nei pressi del Parco degli Acquedotti, era stato portato nel presidio dei carabinieri per essere fotosegnalato. Qui, invece, sarebbe stato sottoposto a “un violentissimo pestaggio”.

I militari che lo avevano in custodia, avrebbero quindi “spinto e colpito con schiaffi e calci il 31enne, facendolo violentemente cadere in terra”, circostanza che, almeno inizialmente, era costata l’imputazione per lesioni gravissime. Tali violenze, provocarono a Cucchi “un impatto al suolo in regione sacrale che, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che lo avevano in cura presso la struttura protetta dell’Ospedale “Sandro Pertini”, ne determinava la morte”. A essere rivista, è anche la posizione degli altri due indagati, il maresciallo Roberto Mandolini, esecutore dell’arresto, il militare Francesco Tedesco e l’appuntato Vincenzo Nicolardi i quali, in un primo momento accusati di falsa testimonianza, dovranno ora rispondere di calunnia: il nuovo capo d’imputazione, deriverebbe dalle dichiarazioni da loro rilasciate, sotto giuramento, durante il processo di primo grado contro gli agenti di polizia penitenziaria e i medici che avevano avevano in cura Cucchi (tutti assolti), “affermando il falso” e accusandoli, implicitamente, “pur sapendoli innocenti”.

Per i primi due, grava anche l’imputazione di falso in atto pubblico, avendo modificato il verbale nel quale si “attestava, falsamente, l’avvenuta fotosegnalazione”. Il procedimento, in realtà, oltre a non esser stato svolto, costituirebbe la motivazione dell’avvenuto pestaggio, messo in atto in quanto l’arrestato non si sarebbe “mostrato collaborativo”. Ulteriori omissioni, riguarderebbero l’assenza dei nomi degli altri due carabinieri presenti, oltre che la falsa dichiarazione in merito alla volontà del geometra di rinunciare a un legale di fiducia.

Nuove speranze, dunque, per la famiglia Cucchi, in particolare per la sorella di Stefano, Ilaria, autrice di una lunga campagna legale per appurare la verità: “Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d’ora in avanti, sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio.  Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia”.

 

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