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Caso Cucchi, le rivelazioni del superteste

E'stato il giorno della deposizione del carabiniere Francesco Tedesco, ritenuto il “supertestimone” nel processo sulla morte di Stefano Cucchi. Fu lui, dopo nove anni, a riferire come il 31enne romano fosse morto a seguito del pestaggio ricevuto da due suoi colleghi che, assieme a lui, risultano imputati per omicidio preterintenzionale. Ci sono rivelazioni importanti nell'ambito della sua testimonianza, riferita davanti alla Corte d'Assise nel cosiddetto Cucchi-bis, aperto dopo l'acquisizione di ulteriore materiale relativo agli ultimi giorni del geometra, arrestato il 15 ottobre 2009 per possesso di stupefacenti e deceduto il 22 ottobre 2009 presso l'Ospedale “Sandro Pertini”. Alla famiglia di Stefano, che quest'oggi ha ricevuto una lettera da parte del comandante dell'Arma, il generale Giovanni Nistri, affinché si faccia piena luce sulla vicenda, il superteste ha chiesto scusa: “Per me questi anni sono stati un muro insormontabile”.

La testimonianza

Una dichiarazione che ha aperto la sua testimonianza, nella quale ha riferito ulteriori dettagli circa la notte del fermo: “Al fotosegnalamento Cucchi si rifiutava di prendere le impronte: siamo usciti dalla stanza e il battibecco con Alessio Di Bernardo (carabiniere imputato, ndr) è proseguito. A un certo punto Di Bernardo ha dato uno schiaffo violento a Stefano”. E continua: “Cucchi è caduto a terra, battendo la testa e Raffaele D'Alessandro (anche lui imputato, ndr) ha dato un calcio in faccia a Stefano”. Una dichiarazione che Tedesco ha evitato di riferire per dieci anni: “Non era facile denunciare i miei colleghi. Il primo a cui ho raccontato quanto è successo è stato il mio avvocato. In dieci anni della mia vita non lo avevo ancora raccontato a nessuno”. Sulle motivazioni del suo silenzio, spiega che “dire che ebbi paura è poco. Ero letteralmente terrorizzato. Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato. Ero solo, come se non ci fosse nulla da fare. In quei giorni io assistetti a una serie di chiamate di alcuni superiori, non so chi fossero, che parlavano con Mandolini. C'era agitazione. Poi mi trattavano come se non esistessi. Questa cosa l'ho vissuta come una violenza”.

La conversazione con il superiore

Tedesco ha poi raccontato la sua conversazione con il maresciallo Mandolini, al quale chiese come si sarebbe dovuto comportare nel caso fosse stato chiamato a testimoniare sul caso Cucchi, ricevendo in risposta quella che, spiega ai magistrati, percepì come una minaccia: “Tu devi continuare a seguire la linea dell'Arma se vuoi continuare a fare il carabiniere”.

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