Scienziati o umanisti? Per viaggiare attraverso l'Artico, in realtà, servono un po' entrambi. E non necessariamente due figure distinte: lo scienziato-umanista può essere la stessa persona, capace di analizzare l'ambiente circostante in modo così capillare da poterlo vivere e, al tempo stesso, entrarvi in contatto emotivo e, appunto, umano. Una riflessione con la quale l'ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli, ha descritto Marzio Mian, autore del libro “Artico – La battaglia per il Grande Nord”, frutto del suo reportage nel settentrione del mondo e presentato presso la sede Sioi, alla presenza dell'ambasciatore norvegese in Italia, Margit F. Tveiten, e del presidente Frattini. Un tema certamente delicato che nel suo stesso nome, breve ma evocativo, racchiude una varietà di aspetti che passano non solo da quello naturalistico, indubbiamente il più immediato e visibile, ma anche geopolitico e, in buona misura, geostrategico.
Cooperazione internazionale
L'Artico come crocevia di cooperazione internazionale e, in un certo senso, come vero e proprio “polo” strategico per il futuro delle potenze mondiali: due concetti che vanno a intersecarsi in un'ottica di sviluppo che, in modo parallelo, possa conciliare la tutela del paesaggio con l'apertura agli investimenti sulle risorse che ancora si nascondono nei territori artici. Un progetto che, sulla carta, potrebbe rappresentare un importante step per un'economia sostenibile ma che, per certi versi, rischia di trasformarsi nell'ennesima zuffa post-coloniale: “Non è vero che nell'Artico non esistono regole – ha spiegato l'ambasciatrisce Tveiten -. I cambiamenti, in questa zona geografica, sono il riflesso dei mutamenti di altre zone del mondo. In queste zone vige il diritto internazionale e l'Artico continua a mantenersi una regione di stabilità e cooperazione. Certo, nulla è possibile in assenza di regole: è necessario che si eserciti prudenza nella gestione delle risorse”.
Vie transpolari
Il problema, oggi come in passato, non è tanto la mancanza di intesa fra nazioni (esiste un Consiglio che monitora la situazione di stabilità nelle regioni artiche, del quale l'Italia è osservatore permanente) quanto il rischio di procedere a tappe forzate verso la capitalizzazione delle risorse del sottosuolo (quello della Groenlandia in primis), concedendo spazio a rotte mercantili attraverso il Mare di Barents e, addirittura, lo Stretto di Bering. Una condizione che, vista l'importanza strategica dell'area in questione, incrementa la possibilità del restringimento dello spazio vitale delle popolazioni autoctone, gli inuit su tutte. Un film purtroppo già visto ma che, anche a fronte del cambiamento climatico in atto, impone sull'Artico una riflessione approfondita: “Per sopravvivere in quelle zone – ha spiegato Mian – ci vuole cooperazione. Il popolo eschimese non usa mai la prima persona perché la comunità viene prima di tutto. E la loro tutela è importante: le regioni artiche, al momento, sono forse le più fragili e non solo da un punto di vista naturalistico”. C'è da capire quando la via transpolare diventerà una rotta battuta dalle potenze e, a quel punto, quanto questo andrà a inlfuire su quelli che ora sono rapporti di cooperazione: “Basti pensare che a 60 km dal confine con la Norvegia, i russi hanno disposto oltre un migliaio di testate nucleari e che la strategia di Trump, attualmente, è utilizzare nuove piattaforme per arrivare al pareggio di bilancio”.
Rischi e sfide
Anche per questo, in un'inquadratura dell'Artico come “il nuovo esotico”, c'è bisogno di affrontare il tema antropologico dei popoli locali, dalla caccia alla foca passando per le altre tradizioni ancestrali che ne hanno accompagnato il percorso di evoluzione societaria: “Possiamo chiedere a una popolazione che ha sempre vissuto di pesca di diventare, improvvisamente, dedita all'agricoltura?”. Un quesito che si pone parallelamente ai dubbi che accompagnano la nuova marcia verso nord, l'ultima e forse decisiva corsa fra potenze: dalla Cina, con il suo espansionismo-lampo, fino alla Russia, con il suo esercito di rompighiaccio e basi nucleari. Capire, innanzitutto, se la crisi artica sia esclusivamente di stampo ambientale: i segnali arrivati finora viaggiano su binari intrecciati, mostrando come gli effetti visibili del deterioramento del polo altro non siano che lo specchio di una politica ambigua mirata al suo territorio. In mezzo, gli sforzi di un collettivo di Paesi, Norvegia in testa, che cerca di mantenere inalterato il delicato equilibrio fra uomo e natura. A ben vedere, la vera grande sfida dell'umanità.