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Papa Francesco e la teologia del povero

Qual è la teologia di papa Francesco? Oggi il Pontefice riceve in Vaticano i membri della Commissione Teologica Internazionale: un'occasione per fare il punto sull'originalità dell'apporto di Jorge Mario Bergoglio al Magistero della Chiesa sotto il profilo dottrinario. Poi nel pomeriggio Jorge Mario Bergoglio visita la Cittadella della Carità, la struttura per indigenti di via Casilina a Roma in occasione dei 40 anni dell'istituzione della Caritas capitolina e qui incontra ospiti e volontari recandosi in alcuni reparti in particolare: il Centro Odontoiatrico, la Casa di accoglienza “Santa Giacinta”, l'Emporio della solidarietà e la Mensa.

Teologia e povertà

San Giovanni Crisostomo affermava: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”. Commenta Francesco: “Come si può vedere, questa attenzione per i poveri è nel Vangelo, ed è nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla, come alcune volte è accaduto nel corso della storia”. E “la Chiesa quando invita a vincere quella che ho chiamato la «globalizzazione dell’indifferenza” è lontana da qualunque interesse politico e da qualunque ideologia: mossa unicamente dalle parole di Gesù vuole offrire il suo contributo alla costruzione di un mondo dove ci si custodisca l’un l’altro e ci si prenda cura l’uno dell’altro. L’attenzione ai poveri richiede anche un diverso atteggiamento pastorale. “Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza”, sosteneva il rivoluzionario argentino Ernesto Che Guevara. Il suo connazionale Jorge Mario Bergoglio, nell’omelia della messa di inaugurazione del pontificato del 19 marzo 2013, ha esortato i fedeli a “non avere paura della tenerezza” perché “il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza”. Infatti la tenerezza non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Un concetto fondamentale per il pontificato della misericordia. L’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, ribadisce il 20 novembre 2014 Francesco nel messaggio in occasione della XIX seduta pubblica delle Accademie. All’indomani del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Bergoglio ha affidato il cammino della Chiesa alla materna e premurosa intercessione di Maria, perché “ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto: in lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti”.

La carità è il volto di Dio

Da sempre il magistero della Chiesa considera la povertà una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. I poveri sono quanti soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali. 8 dicembre 1965. La chiusura del Vaticano II offre l’occasione a Paolo VI per un ispirato messaggio ai poveri: “O voi tutti che sentite più gravemente il peso della croce, voi che siete poveri e abbandonati, voi che piangete, voi che siete perseguitati per la giustizia, voi di cui si tace, voi sconosciuti del dolore, riprendete coraggio: voi siete i preferiti del regno di Dio, il regno della speranza, della felicità e della vita, siete i fratelli del Cristo sofferente e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo”, scrive papa Montini. “Sappiate che non siete soli, né separati, né abbandonati, né inutili: siete i chiamati da Cristo, la sua immagine vivente e trasparente. Nel suo nome, il Concilio vi saluta con amore, vi ringrazia, vi assicura l’amicizia e l’assistenza della Chiesa e vi benedice”. Pochi giorni prima di questo accorato appello, il 16 novembre 1965, 42 vescovi firmarono nella Catacombe di Santa Domitilla, a Roma, il cosiddetto “Patto delle catacombe”, per sancire l’impegno di realizzare una Chiesa povera per i poveri. Pochi giorni dopo la sua elezione, il 16 marzo 2013, Francesco riproponeva, parlando ai rappresentanti dei mass media, il tema di una Chiesa vicina alle fasce sociali più emarginate, ai diseredati, agli indigenti, a chi subisce soprusi e ingiustizie. “Riconoscendo Cristo in queste persone, 42 presuli vollero firmare, cinquant’anni fa, un documento, che poi venne sottoscritto anche da altri 500 vescovi, per mettere in evidenza, nella Chiesa che si rinnovava, l’opzione per i poveri e per uno stile di vita sobrio”, racconta nel novembre 2015 a Radio Vaticana monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, uno di quei presuli firmatari, su impulso dell’arcivescovo brasiliano dom Helder Câmara. “Ci presentarono questo elenco di impegni, perché i vescovi cominciassero a vivere più semplicemente, fossero vicini ai lavoratori, ai poveri, ai sofferenti e non avessero dei conti in banca loro”, spiega Bettazzi. “Mezzo secolo dopo, il ricordo del Patto delle catacombe rivive e diventa attuale, soprattutto nell’atmosfera che Francesco sta indicando a tutta la Chiesa”.

Continuità con la tradizione

Francesco rimarca la continuità con la tradizione della Chiesa nell’attenzione ai poveri richiamandosi proprio al Vaticano II. Un mese prima di aprire il Concilio ecumenico, Giovanni XXIII afferma che la Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa è di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri. Negli anni successivi la scelta preferenziale per i poveri è entrata nei documenti del magistero. Qualcuno potrebbe pensare a una novità, mentre invece si tratta di un’attenzione che ha la sua origine nel Vangelo ed è documentata già nei primi secoli di cristianesimo. Dunque, se Francesco ripetesse alcuni brani delle omelie dei primi Padri della Chiesa, del II o del III secolo, su come si debbano trattare i poveri, ci sarebbe qualcuno ad accusarlo che la sua è un’omelia marxista. Per esempio, non è del tuo avere che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò 83 Capitolo 6 che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi. Sono parole di sant’Ambrogio, servite a papa Paolo VI per affermare, nella Populorum Progressio, che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto, e che nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. Perciò questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Un mese dopo, la notte di Natale del 2014, Francesco ha sottolineato, durante la celebrazione nella basilica di San Pietro: “La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine, quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo, la risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla piccolezza umana”. Con la stessa intensità il 29 marzo 2015, nell’omelia della domenica delle Palme, il Papa ha lanciato un accorato appello ai giovani: “Lasciatevi riempire dalla tenerezza del Padre, per diffonderla intorno a voi”.

La povertà non è miseria

È uno dei cardinali più vicini a Francesco ad illustrarne la svolta pastorale. Due decenni di ministero episcopale in due arcidiocesi dell’Italia centrale, preceduti da un lungo servizio nella Curia romana: il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, ha presieduto uno dei circoli minori al Sinodo dei vescovi sulla famiglia. I pastori sono chiamati a stare nella storia e aiutare le persone a santificare la quotidianità. La miseria è indegnità, la povertà è uno stile di vita. La verità è come l’acqua, la strada la trova. Non sono gli uomini che cambiano l’umanità, ma Dio. La Chiesa deve crescere nella dimensione della collegialità, nell’assunzione comune e responsabile del bene di tutti. Senza mai dimenticare la differenza tra povertà e miseria. “Nei Vangeli si dice “beati i poveri”, non “beati i miseri””, spiega a In Terris il cardinale Menichelli. “Per rivolgersi alle coscienze serve sensibilità e disponibilità al dialogo. La Chiesa è per il mondo e per l’umanità e l’umanità ha tante facce. Gesù ci ha donato la verità e la misericordia. Il nostro impegno come Chiesa è mettere insieme verità e misericordia perché laddove non ci riusciamo rischiamo di dividere la persona di Cristo. Ogni Chiesa locale ha la sua storia e ogni storia è significativa per la bellezza di quella universale”. L’imperativo è “non abbandonare mai nessuno”. Il Papa, secondo Menichelli, indica la necessità di una Chiesa traboccante di compassione d’amore, che sappia distinguere il peccato dal peccatore: il nostro patrimonio è la maternità spirituale nei confronti dell’umanità nella convinzione che la bellezza della Chiesa non è negli addobbi ma nell’amore per Cristo e nell’impegno di liberare tutti dalla “inequità” di cui Francesco parla nella Evangelii Gaudium. Occorre suscitare l’impazienza della carità. All’ultimo Sinodo il pontefice ha colpito anche per la capacità di ascoltare. C’è bisogno, infatti, di maggior comprensione. Secondo Menichelli, vescovi e sacerdoti devono comprendere le problematiche e le fatiche che la famiglia e le persone sopportano a vari livelli. In un mondo così complesso, la Chiesa non può incasellare tutto in certi termini o certi concetti precisi che vescovi e sacerdoti si sono abituati a usare. Oggi molta realtà sfugge. Occorre unire l’educazione alla compassione. Ogni persona è un dono di Dio e ha qualcosa da offrire all’altro. Un appello ad accompagnare e a educare perché ogni persona capisca il messaggio del Vangelo che non è contro nessuno ma a favore di tutti nel senso che può aiutare ciascuno a capirsi e a vivere in relazione con gli altri. Non senza resistenze.

La lezione del Concilio

Attaccano Francesco per colpire il Concilio, secondo il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero. Dalla povertà messa al centro del pontificato all’interpretazione del primato petrino in termini di servizio, in nome del tradizionalismo settori cattolici conservatori avversano la Chiesa della misericordia e l’opera riformatrice di Jorge Mario Bergoglio. Parafrasando Chesterton, si comincia a combattere la Chiesa a difesa di una presunta tradizione e si finisce per boicottare anche la tradizione pur di combattere la Chiesa. Una dinamica già ricostruita da Aldo Maria Valli e Rodolfo Lorenzoni, a proposito della Fraternità sacerdotale San Pio X, nel libro La tradizione tradita (Paoline, 2009). Francesco ha parlato di terza guerra mondiale a pezzi e, per usare la stessa immagine, c’è un’offensiva a pezzi contro il Vaticano II che vede il papa come obiettivo diretto e il Concilio come vero bersaglio degli attacchi. Per Mogavero i nemici di Francesco sono i nemici del Concilio. Le critiche che gli vengono mosse sono sostanzialmente le stesse rivolte a Giovanni XXIII che come lui ebbe il coraggio e la lungimiranza di volere una Chiesa profetica, in grado di leggere i segni dei tempi. Rivolgendosi alla Commissione Teologica internazione, papa Francesco si congratula per i cinquant’anni di servizio alla Chiesa. “La Commissione fu inaugurata da San Paolo VI come frutto del Concilio Vaticano II, per creare un nuovo ponte fra teologia e magister- sottolinea il Pontefice-.Fin dagli inizi, eminenti teologi ne sono stati membri, contribuendo in modo efficace a questo scopo. Ne dà testimonianza il voluminoso corpo dei documenti pubblicati: ventinove testi, punti di riferimento per la formazione e per la riflessione teologica”.  Secondo papa Francesco “solo una teologia bella, che abbia il respiro del Vangelo e non si accontenti di essere soltanto funzionale, attira”. E “per fare una buona teologia non bisogna mai dimenticare due dimensioni per essa costitutive”. La prima è la vita spirituale: “solo nella preghiera umile e costante, nell’apertura allo Spirito Santo si può intendere e tradurre il Verbo e fare la volontà del Padre”. La teologia “nasce e cresce in ginocchio”. La seconda dimensione è la vita ecclesiale: “sentire nella Chiesa e con la Chiesa, secondo la formula di sant’Alberto Magno: nella dolcezza della fraternità, cercare la verità”. per Jorge Mario Bergoglio non si fa teologia da individui, ma nella comunità, al servizio di tutti, per diffondere il gusto buono del Vangelo ai fratelli e alle sorelle del proprio tempo, sempre con dolcezza e rispetto”. 

 

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