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Non fu Paolo VI a far dimettere il cardinale Lercaro

Non fu Paolo VI, nel febbraio 1968, a far dimettere l'arcivescovo di Bologna il cardinale Giacomo Lercaro, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, considerato troppo progressista da molti, dentro e fuori la Chiesa.  A volere la rimozione di Lercaro fu una parte della Curia romana, mentre il Pontefice era all'oscuro di tutto. È l'importante rivelazione contenuta nel libro Paolo VI. Un uomo che tende le mani (Gruppo Editoriale San Paolo) scritto da monsignor Leonardo Sapienza, uno dei biografi più autorevoli di Montini, e pubblicata da Famiglia Cristiana. La prova viene da una serie di documenti inediti, tra cui la minuta scritta l'8 aprile 1968 da Giovanni Battista Montini di una lettera che venne poi spedita a Lercaro due giorni più tardi, firmata dall'allora segretario di Stato, il cardinale Amleto Giovanni Cicognani.

Nessun complotto

Nel manoscritto Paolo VI smentisce il suo coinvolgimento nelle dimissioni e smonta la tesi di un “complotto” che sarebbe stato avallato dal Papa. “Può mai supporre l'eminenza Vostra”, si legge nel testo vergato da Montini, “che il Santo Padre, il quale Le ha dato tante prove della sua venerazione, della sua stima, della sua fiducia, della sua affezione abbia voluto recare offesa all'onore di un pastore e d'un maestro quale Vostra Eminenza o anche solo darle un amaro dispiacere?”. La lettera fu inviata all'ex arcivescovo di Bologna che lasciò l'incarico ufficialmente per motivi di salute anche se, spiega Sapienza, si trattò di una vera e propria rimozione, “un atto senza precedenti e senza motivazioni”. Il motivo è che “pur potendo contare su un rapporto personale con Paolo VI (che gli concesse oltre trenta udienze private), il cardinale Lercaro non godeva certamente delle simpatie di larga parte della Curia romana” perché troppo aperto.

L’attualità del Concilio

 Viene automatico dire Concilio e pensare al suo “ideatore” Giovanni XXIII, che di Jorge Mario Bergoglio è il maestro e l’ispiratore. Eppure l’eredità del Vaticano II arriva al primo papa che ha scelto di chiamarsi come il Poverello di Assisi soprattutto attraverso la lezione e l’esempio dei suoi due più diretti predecessori, a diverso titolo protagonisti della stagione conciliare. Karol Wojtyla partecipò al Concilio con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et Spes. La convinzione di Giovanni Paolo II era che la Chiesa attraverso il Concilio non ha voluto rinchiudersi in se stessa, riferirsi a sé sola, ma al contrario ha voluto aprirsi più ampiamente». Per il padre conciliare Karol Wojtyla, il Vaticano II, dopo aver approfondito il mistero della Chiesa, si è interessato del mondo moderno, dell’uomo fenomenico, quale si presenta oggi. Perciò la missione di evangelizzazione e di salvezza ha spinto il concilio a superare le distinzioni e le fratture, a rivolgersi “all’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive”. Secondo Giovanni Paolo II si è trattato di un dialogo, per portare a tutta la famiglia umana la salvezza, per collaborare al suo vero bene ed alla soluzione dei gravi problemi, nella luce del Vangelo. La costituzione Gaudium et Spes espone la dottrina cattolica sui grandi temi: vocazione dell’uomo, dignità della persona umana, ateismo, attività umana, matrimonio, fame, cultura, vita economico-sociale, pace, guerra, comunità dei popoli. All’umanesimo laico, chiuso nell’ordine naturale, viene opposto l’umanesimo cristiano, aperto al trascendente, che presenta la concezione teocentrica dell’uomo, ricondotto a ritrovare se stesso nella luce e nello splendore di Dio.

La visione di un futuro Pontefice

 Nella visione conciliare di Giovanni Paolo II la ragione della dignità umana consiste nella vocazione dell’uomo alla comunione con Dio, quindi il Concilio rivolge a tutti gli uomini l’invito ad accogliere la luce del Vangelo. Il Vaticano II, ha affermato Giovanni Paolo II, “resta l’avvenimento fondamentale della vita della Chiesa contemporanea; fondamentale per l’approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo; fondamentale per il contatto fecondo con il mondo contemporaneo in una prospettiva d’evangelizzazione e di dialogo ad ogni livello con tutti gli uomini di retta coscienza”. Per Karol Wojtyla il Concilio ha posto le premesse del nuovo cammino della Chiesa nella società contemporanea. Pur essendo la stessa di ieri, la Chiesa vive e realizza in Cristo il suo “oggi”, che ha preso il via soprattutto dal Vaticano II. Il Concilio ha preparato la Chiesa al passaggio dal secondo al terzo millennio dopo la nascita di Cristo. Anche Joseph Ratzinger, dal 1962 al 1965, ha garantito un rilevante apporto al Concilio Vaticano II come “esperto” e ha assistito come consultore teologico il cardinale Joseph Frings, arcivescovo di Colonia. In realtà il lascito conciliare di Wojtyla e Ratzinger si riscontra in una pluralità di aspetti del pontificato di Francesco. L’anelito sinceramente ecumenico che lo spinge a considerare il primato petrino in termini di servizio alla cristianità e non di dominio, l’impostazione autenticamente universale della sua missione pastorale, il debito di riconoscenza che nell’ultimo mezzo secolo accomuna tutti i pontefici per la straordinaria intuizione di Giovanni XXIII.

Accentuazioni personalistiche

I pontefici rappresentano tutti una parte di una storia organica e continua, secondo Giancarlo Vecerrica, fino a marzo 2016 vescovo di Fabriano-Matelica. Le accentuazioni proprie di ciascun pontefice non sono altro che puntualizzazioni e richiami per una attività apostolica più incisiva e rispondente alle esigenze del momento. Quindi definire il papa buono o misericordioso serve soltanto per evidenziare e attirare l’attenzione sull’operato specifico, ma non serve per limitare l’attività di un pontefice. Queste caratterizzazioni, a giudizio di Vecerrica, vanno usate con molta accuratezza perché sono limitate e qualche volta anche usate ad arte per non solo sottovalutare l’operato pontificio, ma prendono solo aspetti secondari, dimenticando l’essenziale che caratterizza l’attività di ogni pontefice. L’eredità conciliare di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger consiste nella continua ripresa dei testi e dello spirito conciliare, incarnandoli nella loro grande testimonianza. La lezione del Vaticano II nell’insegnamento di Francesco più presente e più richiamata è l’evangelizzazione, come dimostra anche l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Francesco offre la Chiesa al mondo moderno con una forte apertura. Roncalli come ispirazione comune Una grande somiglianza tra Giovanni XXIII e Francesco c’è ed è positiva, secondo Vecerrica. Il filo rosso che lega Giovanni XXIII e Jorge Mario Bergoglio in campo ecumenico è l’incontro diretto con le comunità e i responsabili delle varie confessioni o comunità cristiane. Tutte e due hanno messo al primo posto non i documenti, ma cercare un’esperienza comune, offrire una testimonianza.  

Il pastore arrivato “quasi dalla fine del mondo”

La dimensione della Chiesa povera per i poveri in Francesco deriva dalla sua attività prima e dopo la sua consacrazione a vescovo, e poi nel pontificato. La sua prevalente attività è quella pastorale: ciò gli ha conferito la preoccupazione di ritrovare nel Concilio i testi che si riferiscono in un modo o in un altro alla Chiesa povera per i poveri. La misericordia nel Concilio è espressa potentemente nella Gaudium et Spes. C’è l’auspicio che gli Istituti promuovano la collaborazione tra le nazioni. Si può andare a vedere sant’Agostino, quando propone e attua centri di aiuto per i poveri e invita i suoi sacerdoti ad evangelizzare tutte le etnie presenti nel territorio della sua diocesi. Un passaggio di consegne problematico. La Chiesa in Sud America e in Europa: è proprio vero che in Sud America il Concilio è stato messo in pratica più che in Europa? È molto discutibile, secondo Vecerrica. Ci sono aspetti di attuazione molto esteriori e altri più essenziali. Francesco deve riportare la fede tanto in Europa quanto in America Latina. Tutte e due ne hanno un bisogno urgente e radicale. Bergoglio si interessa tanto dell’Europa quanto dell’Africa e dell’America, quella del Nord come quella del Sud. La sua esperienza argentina è utile a pastori e fedeli occidentali.

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