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Mamma Roma diventa santa

La città eterna ha una nuova santa. Dieci giorni di festeggiamenti all’insegna delle opere di misericordia con al centro poveri, ammalati e carcerati. Verrà ricordata così madre Giuseppina Vannini, fondatrice delle Figlie di San Camillo, che domenica 13 ottobre alle 10.15 (insieme al cardinale Newman e ad altri tre beati)  sarà canonizzata da Papa Francesco.

La prima romana canonizzata negli ultimi 4 secoli

Si tratta della “prima santa tutta romana, oltre quattrocento anni dopo la canonizzazione di santa Francesca Romana“, come sottolinea la postulatrice generale delle Figlie di San Camillo suor Bernadette Rossoni. Il cardinale vicario Angelo De Donatis presiederà la celebrazione lunedì 14 ottobre nella basilica di San Giovanni in Laterano. Il 15 la Messa nella basilica di San Camillo sarà officiata dal vescovo Daniele Libanori; il 16 alle 18 a Sant’Andrea delle Fratte ci sarà il vescovo Paolo Ricciardi. Il vescovo Gianpiero Palmieri celebrerà invece nella cappella dell’ospedale intitolato alla nuova santa in via di Acqua Bullicante 4, sabato 19 alle ore 16.

I luoghi simbolo del suo carisma

Per l’occasione, dunque, sono in programma numerose celebrazioni in diversi luoghi della città, legati alla vita della santa, in particolare nella basilica di San Camillo al cui carisma l’opera di madre Vannini è strettamente legato e nella cappella dell’ospedale intitolato alla neo-santa, nata, vissuta e morta a Roma, dove nel 1892, insieme al beato padre Luigi Tezza, fonda la nuova famiglia camilliana. Nel 1909 il decreto ufficiale che sancisce la congregazione sotto il titolo di “Figlie di San Camillo”. Nel settore Est della diocesi si trova l’ospedale a lei dedicato, dove le sue figlie, da più di 100 anni, prestano servizio ai malati. Oggi sono circa 800 le suore professe, presenti in 23 Paesi di 4 continenti. Seguendo il carisma di san Camillo vissuto dai loro fondatori, si dedicano all’assistenza sul piano professionale e spirituale in ospedali, lebbrosari, case di riposo e di cura. Soprattutto, continuano a professare, in aggiunta ai tre voti religiosi quello di non lasciare mai i malati, neanche quelli infettivi.

La carità come linguaggio di Dio

Il malato è al centro di tutto – sottolinea suor Bernadete Rossoni –: madre Vannini si fa vera madre, come se ogni malato fosse l’unico figlio infermo, insegnando con una teologia pratica e immediata che 'la sofferenza è vinta soltanto dall’amore'”. Domenica “mamma Roma” salirà agli onori degli altari con un'altra figura fondamentale per comprendere la spiritualità che permea la Chiesa contemporanea: John Henry Newman cardinale, teologo e filosofo inglese. E qui c'è una vicenda profondamente connessa all'oppressione nazista e alla formazione del giovane teologo Joseph Ratzinger, come ricostruisce Il Sussidiario. Una vicenda che aiuta a interrogarsi su una questione fondamentale: la resistenza intellettuale, di pensiero del giovanissimo Ratzinger al nazismo. Dal 5 febbraio 2012 è venerato martire dalla Chiesa ortodossa tedesca come sant'Alexander di Monaco, al secolo Alexander Schmorell, uno dei “ragazzi” della Rosa Bianca, i giovani che si opponevano al nazismo fino ad esserne sterminati e si ispiravano a Romano Guardini, il teologo che più ha segnato la biografia culturale di Joseph Ratzinger. Il giovane Schmorell, quasi per inerzia, alla stregua della stragrande maggioranza dei tedeschi di allora (come anche Joseph e Georg Ratzinger), a 15 anni entra nella Hitlerjugend, la Gioventù hitleriana. Poi alla facoltà di medicina l’incontro con i fratelli Hans e Sophie Scholl e Willi Graf  che avevano dato vita al gruppo della Weisse Rose (Rosa Bianca) lo induce ad una profonda riflessione su quanto stava accadendo in quegli anni in Germania. Con loro partecipa alla pubblicazione e alla diffusione dei primi volantini che denunciavano il regime del Führer. “Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi “governare”, senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti”. E una lapidaria conclusione: “Non dimenticate che ogni popolo merita il governo che tollera”. Vengono arrestati dalla Gestapo il 18 febbraio 1943 e il 22 sono condannati a morte per alto tradimento insieme a Christoph Probst (sentenza eseguita in giornata). Prima del martirio dei ragazzi della Rosa Bianca, però, c'erano stati altri nuclei di resistenza culturale.  Al pensatore cattolico Theodor Haecker il regime hitleriano aveva imposto nel 1936 l'obbligo di non scrivere più. Aveva definito “bestia” il Fuhrer. Gli era stato concesso solo di tradurre opere straniere. E lui si era buttato su John Henry Newman cardinale, teologo e filosofo inglese. Un autore che Haecker aveva già scoperto negli Anni Venti, apprezzandolo per la sua vivezza e profondità e che lo aveva condotto, lui luterano appassionato di Kierkegaard, alla fede cattolica.

L'apostolo della libertà di coscienza

Anche Haecker come l’ex anglicano Newman era un convertito al cattolicesimo. Dopo l'intervento censorio del Terzo Reich, Haecker si era perciò dedicato, oltreché a tenere, in segreto, un diario personale di quegli anni bui, a tradurre in lingua tedesca Newman. Fu Haecker a insegnare il pensiero di Newman nel circolo di giovani antinazisti della Rosa Bianca perché riteneva la sua idea di coscienza come voce di Dio un efficace scudo protettivo contro le dottrine idolatriche ed atee del regime. Insomma Newman antidoto al Terzo Reich. Ma i Sermoni di Newman tradotti in tedesco da Haecker furono “arma” di resistenza intellettuale al nazismo anche per il futuro Benedetto XVI che, tra le macerie della guerra appena conclusa, nel seminario di Frisinga, vicino Monaco di Baviera, fece conoscere ai compagni di seminario proprio quei testi di Newman che lo avevano interiormente “vaccinato” dalla pandemia totalitaria della sua generazione. E da qui si comprendono il debito di gratitudine e l’urgenza interiore avvertita dal seminarista di allora nei confronti di Newman, quando, 65 anni dopo, dimostrò sul Soglio di Pietro la tenace volontà di beatificarlo di persona, contravvenendo alle sue stesse disposizioni secondo cui il Pontefice procede solo alle canonizzazioni in San Pietro, mentre le beatificazioni sono affidate ai vescovi locali. Un gesto che riannoda i fili della personalissima memoria e che nasce dalla riconoscenza di Joseph Ratzinger verso il teologo che fu per i disorientati cattolici tedeschi una lanterna di fede nel vento furioso del totalitarismo. “Windlicht” era il nome del giornalino della Rosa Bianca. “Recenti studi hanno rinvenuto nei volantini antinazisti dei ragazzi bavaresi, espressioni e idee prese in prestito dall’inglese Newman attraverso Haecker”, riferisce Il Sussidiario. Proprio per questo intimo intreccio intellettuale e sentimentale il momento più significativo e toccante del ritorno di Joseph Ratzinger nella temperie che macchiò di dolore e angoscia la sua giovinezza, è stata la sua visita nel 2006 ad Auschwitz. Quel 28 maggio ha oltrepassato a piedi il cancello e ha attraversato il viale principale dell'ex campo di concentramento di Auschwitz, a poca distanza di quello di Birkenau, dove si è recato più tardi. Piovigginava e la sua espressione palesava una mente affollata di pensieri e di ricordi. Ha preceduto di qualche passo la delegazione, seguito tutto il percorso a mani giunte. La prima tappa è stata nel cortile del Muro della Morte, dove si trovavano ad attenderlo alcuni ex prigionieri. Si è poi si recato in visita nella cella di Massimiliano Kolbe, nel Blocco numero 11.

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