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Il Natale ecumenico di Francesco

Francesco ha basato il proprio pontificato sul superamento dello scandalo della divisione tra cristiani. In termini di dialogo ecumenico la strada da fare è ancora molta e lo si vede proprio nelle celebrazioni separate del Natale: ogni confessione festeggia in modo distinto lo stesso Evento salvifico. Gesù nasce per tutti, ma i suoi discepoli non applicano il mandato del Vangelo: “Ut unum sint” (“perchè siano una cosa sola”). In terris ha sottoposto all'ex presidente delle Acli, Luigi Bobba, profondo conoscitore della storia della Chiesa e della sua dottrina sociale, il tema della riconciliazione ecumenica e ne è scaturita una riflessione complessiva sulla missione di papa Francesco e sull'odierna attuazione dello spirito conciliare, a partire proprio dal dialogo tra le diverse “famiglie” dei seguaci di Cristo. Un a ferita da sanare a cominciare dai festeggiamenti “divisi” della Natività.

La necessità di armonizzare le tradizioni

Tre assemblee ecumeniche tenute in Europa, a Basilea (1989), a Graz (1997) e a Sibiu (2007) non hanno prodotto quei risultati che ci si attendeva. Non è un caso che dopo la terza assemblea di Sibiu, in Romania, il processo si sia bloccato. Soltanto adesso, molto tempo dopo, sembra che la rigidità delle posizioni non appaia più insuperabile come in passato. Qualche funzione religiosa condivisa dalle diverse chiese ma il Natale non è di solito una occasione ecumenica. Per le festività le diverse chiese preferiscono concentrarsi sulle loro tradizioni individuali, anche se cominciano a registrarsi alcuni importanti cambiamenti. Eppure la nascita di Gesù è per sua stessa natura una festa da condividere.  Oggi, sotto il profilo dell'ecumenismo, con papa Francesco è rinata la fiducia nella ripresa di un cammino fruttuoso.

La funzione unificante della misericordia

A partire dalla comune sollecitudine per gli ultimi, tema che in tutto il mondo unisce le diverse confessioni e denominazioni cristiane. Il  tema della povertà richiama alla mente la figura del cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, per il suo indimenticabile intervento conciliare sulla Chiesa povera e per i poveri. Suo consigliere personale e perito del Concilio era don Giuseppe Dossetti, l’ex politico democristiano poi ordinato sacerdote. Al di là di questo legame tra Lercaro e Dossetti, il tema della povertà rappresenta una porta spalancata verso la valorizzazione del protagonismo crescente delle Chiese più giovani e di quelle del Sud del Mondo. Diverse encicliche che sono state pubblicate negli anni postconciliari come la Populorum Progressio (1967) di Paolo VI; la Sollicitudo rei socialis (1987) di Giovanni Paolo II; la Evangelii Gaudium (2013) di Francesco stanno a dimostrare quanto sia diventato centrale e prioritario per la Chiesa il farsi carico responsabilmente dei drammi della fame, del sottosviluppo, dell’impoverimento crescente in tante periferie del mondo attuale. E' difficile affermare, secondo Bobba, che il tema della misericordia costituisca, da solo, l’attuazione del Vaticano II, ma rappresenta certamente un aspetto decisivo e qualificante del suo compimento perché sul tema della misericordia si condensa l’esperienza più alta del suo rapporto di amore e di “compassione” verso il mondo con cui è pronto a riconciliarsi superando la vecchia logica della condanna e dell’anatema.

La terza guerra mondiale a pezzi 

È importante, avverte Bobba, non rendere banale lo spirito della misericordia secondo un’accezione puramente “buonista” perché Francesco è pienamente consapevole che stiamo vivendo in un’epoca storica particolarmente conflittuale in cui si sta combattendo una “terza guerra mondiale a pezzi”, in cui la Chiesa non può che auto-comprendersi come un “ospedale da campo”. La nuova visione con cui la Chiesa guarda il mondo è quella di chi vuole combattere al suo fianco come “compagno di viaggio” e non più come un Giudice che dall’alto del suo scranno punta severamente il dito verso l’imputato. A partire dal Vaticano II la Chiesa ha scelto, alla luce della Parola di Dio, di vivere il suo rapporto con il mondo e con la storia secondo la logica del rischio che è certamente quella meno rassicurante e la più esposta alle insidie della contingenza e dell’imprevedibilità. Se la parola misericordia significa invocare il perdono di Dio su di noi e nello stesso tempo aprire il cuore al perdono verso gli altri, allora è possibile sostenere che anche nella spiritualità della misericordia si esprime l’attuazione del Concilio.

Ponti al posto dei muri

Quando Francesco, dopo i tragici attentati di Parigi del 13 novembre 2015, ha affermato di volere un Giubileo senza porte blindate, aperto a tutti anche ai fedeli musulmani, motiva questa sua richiesta dicendo che la Chiesa è solo la “portinaia” e non la “padrona” della Casa di Dio. E così è stato l'Anno santo straordinario della miosericordia. Al tempo stesso Francesco mostra grande attenzione per tutti gli strumenti, vecchi e nuovi, della comunicazione sociale, ma non fino al punto da apparire un fanatico dei social. Anzi, per lui se all’interno di una famiglia ognuno preferisce il suo cellulare o il suo computer, allora viene meno la relazione faccia a faccia e la famiglia si trasforma in un pensionato. In questo senso, Francesco è pienamente consapevole che i social rischiano di favorire la patologia della comunicazione e la disgregazione dei corpi sociali. Oggi, ammonisce Bobba, la parola “social” è diventata un sinonimo della parola “media” e dunque di comunicazione sociale a tutti i livelli (personale e di massa) e con ogni modalità (digitale e multimediale), dalla telefonata al tweet. Francesco rappresenta in qualche modo l’esempio vivente di chi riesce a comunicare con tutta la sua persona ma anche con ogni strumento, come dimostrano ora le sue parole ora le sue mani, ora le sue telefonate a qualcuno ora i suoi tweet.

Non basta la ragione

Contemporaneamente la Chiesa di Jorge Mario Bergoglio è “mistica”: una parola ricca di significati e che ha la possibilità di essere riferita a contesti diversi ma sempre collegati da un sottile filo di accomunamento, come quello che unisce tra loro la relazione mistica delle tre Persone divine – Padre, Figlio e Spirito Santo – e l’immagine del Corpo Mistico della Chiesa. Ma non si può dimenticare che la mistica è una specifica area della teologia spirituale. La via mistica alla conoscenza della Verità, infatti, non è semplice attività razionale e intellettualistica ma una modalità interiore e contemplativa di accedere alla comprensione del mistero di salvezza e alla relazione con Dio. Su questa via mistica del rapporto con Dio esiste un’ampia letteratura che descrive le esperienze dei grandi mistici della storia. Già Dante, nella Divina Commedia, sostiene che per conoscere veramente Dio occorre la mistica, incarnata dalla figura di san Bernardo che prende il posto di “guida” sia di Beatrice, che simboleggia la teologia, sia di Virgilio, che simboleggia la ragione. Sul piano della comunicazione la “nuova evangelizzazione” non conosce limiti perché può essere allo stesso tempo verbale e interpersonale, social e digitale, mass mediale e audiovisiva oppure multimediale. Nel segno del Concilio, secondo Bobba, l’evangelizzazione di Francesco, possiede un cuore antico ma costantemente nuovo perché frutto non di una rigenerazione già definita e avvenuta una sola volta, ma piuttosto di chi ha imparato a vivere secondo una perenne (e agostiniana) “inquietudine rigeneratrice”. 

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