Sono i poveri a soffrire maggiormente delle devastazioni del riscaldamento globale, con le crescenti perturbazioni in campo agricolo, l’insicurezza della disponibilità d’acqua e l’esposizione a gravi eventi meteorologici. Molti di quanti possono a malapena permetterselo sono già costretti ad abbandonare le loro case e a migrare in altri luoghi, senza sapere come verranno accolti. Molti di più dovranno farlo in futuro”.
Le parole di Papa Francesco, al termine del simposio promosso dall'università cattolica statunitense Notre Dame e svoltosi presso sede della Pontificia Accademia delle Scienze nelle giornate dell’8 e 9 giugno, non lasciano spazio a interpretazioni. D’altronde già dal titolo dell’evento, “La transizione energetica e la cura della nostra casa comuneˮ, si intende bene che le intenzioni del pontefice sono chiare e dirette. Tutto è già stato rigidamente indicato nei passaggi dell’enciclica Laudato Sì, in particolare nel paragrafo 165, in cui in poche righe si spiega che “la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti, specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio”. Il discorso conclusivo del pontefice non fa altro che riprenderne il filo.
“La transizione verso l’energia accessibile e pulita è una responsabilità che abbiamo verso milioni di nostri fratelli e sorelle nel mondo, verso i Paesi poveri e verso le generazioni che verranno”, ha affermato Francesco. Gli snodi tematici toccati dal Pontefice sono tuttavia numerosi e si intessono tra loro: dall’incrementale bisogno di energia dovuto ai progressi tecnico-scientifici, con la constatazione che sono “ancora troppi coloro che non hanno accesso all’elettricità”, fino alla necessità di “modalità di sfruttamento delle risorse che evitino di produrre squilibri ambientali tali da causare un processo di degrado e inquinamento, da cui l’intera umanità di oggi e di domani resterebbe gravemente ferita”.
L’evento, rigorosamente a porte chiuse, è di primissima importanza, vista l’imponente presenza delle più grandi major petrolifere del pianeta. Nomi come ExxonMobil, British Petroleum, Royal Dutch Shell, Equinor, Pemex, fino all’italiana Eni rappresentata da Claudio Descalzi. Per non parlare della presenza di Larry Fink, Ad della più grande società di investimento nel mondo, la newyorkese BlackRock, amministratrice di un patrimonio finanziario di oltre 6.000 miliardi di dollari, primo investitore straniero in Europa e in Italia oltre che azionista di peso di molte tra le più grandi banche internazionali.
Anche per queste ragioni i fari, e le speranze di molti, erano ben accesi sul discorso del Pontefice. Che non ha tradito le aspettative, indicando in maniera netta una strada percorribile e giusta nella direzione di “una strategia globale di lungo termine, che offra sicurezza energetica e favorisca in tal modo la stabilità economica, protegga la salute e l’ambiente e promuova lo sviluppo umano integrale, stabilendo impegni precisi per affrontare il problema dei cambiamenti climatici”.
Il Papa in alcuni passaggi ha lodato sia le Nazioni Unite, per i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile, che il lavoro fatto negli ultimi tempi dalle compagnie petrolifere e del gas, di modifica “dei loro piani imprenditoriali”. Ma ha anche constatato una grave insufficienza nel cammino finora compiuto dagli Accordi di Parigi, con “l’inquietante e preoccupante” dato, “sempre molto alto”, di “emissioni di CO2 e concentrazioni atmosferiche dovute ai gas-serra”. Fino a rispondere, indirettamente, ai critici che imputerebbero in incontri di questo livello un cedimento dottrinale da parte della Chiesa alle richieste del mondo e dei grandi potentati. “La riflessione su questi temi culturali più profondi e basilari ci porta a riconsiderare lo scopo fondamentale della vita”, ha infatti chiosato il pontefice, citando un intenso passaggio della Caritas in Veritate del papa emerito Benedetto XVI.
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