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Zuppi: “La democrazia è inclusione, contrasta la cultura dello scarto”

Il presidente della Cei apre la 50esima edizione delle Settimane Sociali, ricordando il valore del bene comune: "È l'unico di cui tutti hanno bisogno"

Trieste, città di frontiera e, per questo, città di incontro. E, in questo caso, di dialogo, confronto, riflessione, pianificazione a breve e lungo termine. Il presidente della Conferenza episcopale italiana, card. Matteo Zuppi, apre la cinquantesima edizione delle Settimane Sociali parlando di “un prestigioso traguardo”, e ringraziando il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la sua presenza, definendolo “custode e garante della democrazia e dei valori della nostra Repubblica e dell’Europa”. E, del resto, Trieste è realmente una porta sull’Europa, un crocevia di culture che apre a una disamina profonda sul senso di appartenenza e sull’apertura all’altro. Perché, come ricorda Zuppi, “il bene comune non è quello che vale di meno, ma è quello più prezioso proprio perché l’unico di cui tutti hanno bisogno e che dona valore a quello personale”. Un aspetto coltivato con dedizione dalla Chiesa italiana che, “pur con i suoi limiti e miserie umane”, “non si è chiusa in sagrestia…  ma ha sentito come propri i temi sociali”.

Zuppi: “Pace e sviluppo non si conquistano per sempre”

Dalla coltivazione del bene comune all’instaurazione del dialogo, aprendosi all’altro in modo sincero e con spirito di condivisione. Trieste stessa ricorda quanto sia fondamentale che i confini “non siano muri o, peggio, trincee, ma cerniere e ponti”. E questo perché “è il testamento di chi sulle frontiere ha perso la vita. Lo vogliamo per quanti, a prezzo di terribili sofferenze, si sono fatti migranti e chiedono di essere considerati quello che sono: persone”. Assieme all’apertura all’altro, tuttavia, occorre anche una vigilanza costante su quanto il dialogo è in grado di donare. Perché, spiega il cardinale, “pace e lo sviluppo non sono beni conquistati una volta per tutte. Richiedono un amore politico”. Non è possibile, infatti, “accontentarci di facili lamentele sulla crisi della democrazia e sulla scarsa partecipazione al voto”. Piuttosto, occorre impegnarsi “per risposte positive, consapevoli, condivise, possibili”.

“Non c’è persona senza l’altro”

La Chiesa, quindi, non si astiene dai suoi doveri nella tutela della democrazia. Essa “parla perché è libera e ha uno sguardo amorevole e benevolo verso ciascuno: di tutti è amica e preoccupata, nessuno è per lei nemico”. È necessario rivolgere uno sguardo di vicinanza concreta a chi “si sente escluso e incompreso, ai poveri, a chi chiede riconoscimento e non lo trova, a chi ha perduto la speranza”. Fondamentale, in questo senso, non cadere “nell’apatia o nella rassegnazione, perché la nostra democrazia può e deve essere migliore e più inclusiva”. Una democrazia che, pure, “soffre perché le società sono più polarizzate, con tensioni aspre, gruppi antagonisti amico-nemico. Con la convinzione che l’individuo è tale quando è al centro”. Le recenti esperienze, come quella della pandemia, ci hanno “fatto comprendere l’appartenenza comune, la partecipazione a una vicenda collettiva. Non c’è democrazia senza ‘noi’ ma non c’è persona senza l’altro”. Alla democrazia, è affidato il compito di “difendere concretamente la dignità umana dove è pesantemente violata”. Non si tratta unicamente di “diritti e doveri ma anche di inclusione dell’altro, contrasto alla cultura dello scarto e alle dipendenze”.

Servitori del bene comune

Molto spesso, ha avvertito il presidente della Cei, “la guerra appare la soluzione più veloce ai problemi di convivenza”. L’impegno dei cattolici è a favore di “una democrazia inclusiva, nella quale nessuna si senta escluso”, perché “l’unica forza è quella dell’amore. Guardiamo con preoccupazione al pericolo di populismi” che “possono indebolire la democrazia. Quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei corpi sociali ed economici. E questo avviene al Nord come al Sud… Vogliamo esprimere tutto l’amore di cui siamo capaci per il nostro Paese. Ci facciamo servitori per il bene comune”. Anche a costo di “pagare il prezzo della speranza e del sacrificio, per costruire un Paese per tutti con al centro la persona”.

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