L’ombra del XXV emendamento, Pence non lo esclude

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La sensazione è che i fatti di Washington abbiano appena iniziato a suscitare i loro effetti. Il fermo e la probabilissima incriminazione di alcuni responsabili dell’assalto al Congresso degli Stati Uniti sembra solo il primo passo di una catena di eventi che la dice (e la dirà) lunga sulle conseguenze. Per chi ha scelto di comportarsi in quel modo ma anche di chi, per settimane, è ritenuto responsabile di aver fomentato la piazza.

Donald Trump è in uscita. Ha riconosciuto la vittoria di Joe Biden (pur senza nominarlo), ribadisce di non volersi presentare alla cerimonia dell’insediamento e si prepara a un passaggio di consegne fra i più difficili della storia americana. Col rischio, non si sa ancora quanto concreto, di chiudere in modo inglorioso la sua stagione alla Casa Bianca.

Cos’è il XXV emendamento

Secondo quanto riportato dalla Cnn, infatti, il vicepresidente Mike Pence, che lo ha accompagnato in questi quattro anni e che era pronto a farlo per altri quattro, non avrebbe escluso di ricorrere alla mossa del XXV emendamento. Una misura mai applicata nel modo in cui i democratici vorrebbero. Ovvero, dichiarando inabile il presidente in carica, con trasferimento di poteri al vice.

Qualcosa di gravissimo. Perché se è vero che le quattro parti del XXV emendamento regolano sostanzialmente il passaggio di poteri da una carica all’altra per ragioni diverse, la quarta e ultima significherebbe la delegittimazione totale del leader del Paese. Il quale potrebbe riacquisire la carica ma attraverso un procedimento complesso, per cui non ci sarebbe né lo spazio né il tempo.

Il rischio di un precedente storico

Si tratterebbe sostanzialmente di una mossa punitiva. Anche perché la parte in questione dell’Emendamento (ideato per regolamentare il passaggio di consegne fra presidente e vice nel 1967) non è mai stata utilizzata. Il XXV, infatti, mette nero su bianco il passaggio di poteri per inabilità provvisoria o permanente (la morte dell’inquilino della Casa Bianca, come accaduto nella successione fra Kennedy e Johnson) al vicepresidente non come “facente funzioni” ma come presidente a tutti gli effetti.

Avvenne, ad esempio, nel caso di Gerald Ford, divenuto presidente dopo le dimissioni di Richard Nixon a seguito del Watergate. Se Pence decidesse di procedere, tuttavia, si creerebbe un precedente storico. Va ricordato che, perché sia considerata valida, la dichiarazione (da trasmettere a Camera e Senato) deve ricevere degli assensi. Oltre che del vicepresidente, dei “principali funzionari dei Dipartimenti esecutivi” o di “un altro organismo previsto per legge dal Congresso”.

Damiano Mattana: