Ottantotto anni e un’impressionante produzione letteraria che conta 49 libri e oltre 100 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Wilbur Smith se ne è andato, spirando nella sua casa di Città del Capo, lasciando in eredità la sua immensa letteratura ma anche un motivo per guardare con attenzione e passione al continente africano. L’Africa, che in Quando vola il falco se ne “stava accucciata sull’orizzonte, quasi un leone pronto all’agguato”, che lo scrittore ha portato con sé per tutta la vita. Lui che nacque nell’attuale Zambia quando era ancora Rhodesia del Nord e che con i suoi romanzi attraversò in lungo e in largo il continente, dalle sorgenti del Nilo al corso del Limpopo.
Wilbur Smith, l’avventura di una vita
Da Il destino del leone, suo primo lavoro datato 1964, a Leopard Rock, autobiografia del 2018, savana, giungle e animali selvaggi usati come metafora di una vita vissuta toccando con mano la drammatica ambivalenza dell’Africa, divisa fra meraviglie e sofferenza. Fra le quali gli anni dell’apartheid, che non mancò mai di condannare. Ma le sue esplorazioni letterarie viaggiarono anche più in alto dell’Equatore, toccando l’Antico Egitto in tempi e luoghi diversi. Il suo Il settimo papiro diverrà una popolare serie televisiva negli anni Novanta, parte di una saga che annovera, fra gli altri titoli, Il dio del fiume e I figli del Nilo. E pensare che fino al 1963 le sue opere vennero quasi snobbate dagli editori, sia sudafricani che europei. Prima che un editore londinese si convinse finalmente a dar fiducia alla sua prima avventura africana, che diverrà di lì a pochi mesi un successo travolgente.
Leopard Rock
Nell’avventura letteraria riversa parte di sé stesso. Il destino del leone è quasi una biografia, incentrata sulla vita in un ranch sudafricano occhi negli occhi con la natura selvaggia. Ma non sono solo parole. Wilbur Smith viaggia su una baleniera, lavora in miniera e riadatta la sua voglia di diventare un giornalista sulla tipologia del romanzo. Inventa i Courtney e i Ballantyne, inventa Hector Cross e chiude con l’avventura più bella. Quella della sua vita. Perché le peripezie più belle non sono quelle scritte ma quelle vissute.