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Violenze alla Sapienza, Tiani: “La Polizia non respinge la libertà: la tutela”

Il segretario generale del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia a Interris.it: "Vedo rabbia sociale ma non un dibattito"

Da manifestazione di dissenso a guerriglia urbana. Con mirino focalizzato sulle Forze dell’Ordine, percepite come ostacolo, piuttosto che come corpo volto alla garanzia del proprio diritto. Un errore di fondo che, fin troppo spesso, ha portato a conseguenze fin troppo dure per la Polizia, i Carabinieri e qualsiasi altro corpo preposto alla tutela della sicurezza dei cittadini. Un loop ripetutosi anche durante i recenti scontri avvenuti all’Università “La Sapienza” di Roma, dove si è passati velocemente da un corteo pro-Palestina a un’intemperanza urbana che ha dato sfogo a violenze e caos. Inutili ai fini della protesta, ma anche della tutela dei propri diritti. Interris.it ne ha parlato con Giuseppe Tiani, segretario generale del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia (Siap).

 

Dottor Tiani, le ragioni delle proteste sono note. Meno note, tuttavia, le cause di innesco di intemperanze così violente. Cosa sta succedendo?

“”Quello che preoccupa è proprio questo atteggiamento violento e aggressivo, come accaduto alla Sapienza. La Polizia è stata schierata per tutelare l’istituzione universitaria, visto che era in corso una riunione del Senato accademico che gli studenti hanno cercato di interrompere. Qualcosa che, chiaramente, non può essere consentita. Nel contempo, un giovane ha danneggiato una macchina della Polizia, ossia un bene dello Stato. Lo stesso è accaduto a due vetture della vigilanza privata dell’università. Un’altra studentessa ha aggredito, fisicamente, il dirigente del Servizio di polizia. I due fermi sono stati tramutati in arresto e circa 300 persone, non solo studenti, si sono diretti presso gli uffici del commissariato, tentando di entrare con violenza per liberarli”.

Qual è il protocollo di sicurezza applicato durante eventi simili?

“Il protocollo della Polizia garantisce le istituzioni e il diritto di manifestare. Nonostante i poliziotti siano stati aggrediti fisicamente e verbalmente, non hanno reagito ma fatto solo un’azione di contenimento. Questo non significa che possa essere consentita un’azione come quella di tentare di liberare delle persone in stato di fermo in un commissariato. È un’azione che fanno i narcos sudamericani. La manifestazione dev’essere sempre entro i limiti della civiltà, non la si fa con violenza”.

Non è la prima volta che delle manifestazioni universitarie si trasformano in caos. In questi casi la tutela del diritto alla manifestazione diventa più difficile…

“Il questore di Roma ha ben schierato il dispositivo di sicurezza, ha consentito la manifestazione senza interromperla e, allo stesso tempo, ha consentito la prosecuzione delle attività accademiche. La Polizia non scende mai in piazza per respingere la libertà di manifestare. Ribadisco la bravura del questore di Roma, come confermato anche dal Prefetto”.

Quali sono state le conseguenze delle violenze per le Forze dell’Ordine?

“Ci sono stati poco meno di 30 feriti, tra escoriazioni e collusioni. Ci sono poi due feriti più gravi: un collega, colpito, ha riportato la frattura del setto nasale. Un altro, invece, la frattura di un dito. Il dirigente del Commissariato, invece, ha ricevuto calci, pugni e lesioni permanenti sulla pelle. Ieri è stato fatto un servizio ineccepibile. Siamo preoccupati da questo clima velenoso, che non prevede un vero dibattito universitario ma una sorta di rabbia utilizzando questi temi come pretesto”.

C’è una lettura superficiale del ruolo della Polizia?

“Qual è il senso di usare violenza per protestare? Perché scaricare la rabbia addosso alla Polizia? La quale, del resto, svolge un lavoro al servizio di tutti. Siamo amareggiati, anche per il silenzio quasi totale delle opposizioni: ci saremmo aspettati parole di vicinanza, per ribadire che non si manifesta con la violenza e non si aggrediscono le forze di Polizia”.

Percepisce vicinanza rispetto a eventi del passato, come gli scontri di Valle Giulia del 1968?

“No, non percepisco vicinanza. Nel marzo del ’68 c’era un cambio di paradigma della nostra società. In quell’anno viene fondata la Magistratura democratica: per la prima volta, i figli di famiglie umili avevano la possibilità di diventare magistrati. Era un cambiamento del modello scoiale, nell’alveo della contestazione giovanile internazionale. Anche la Polizia dell’epoca era diversa da quella di oggi, che è a tutti gli effetti al servizio del cittadino. Sono stati mossi paragoni impropri con il pensiero di Pasolini che, tra l’altro, non riteneva il Sessantotto una rivoluzione”.

Inoltre abbiamo parlato di un dibattito culturale povero di contenuti…

“Allora, invece, c’era un dibattito colto. Eravamo in un’Italia in cui il rapporto tra residenti in città e nelle campagne era ancora a favore di queste ultime. Non vedo parallelismi perché non vedo profili di un dibattito culturale e sociale relativo a un cambio di paradigma sociale. Tra l’altro, il Sessantotto era contraddistinto da due grandi partiti popolari di massa e il pensiero politico era scisso. La Polizia stessa aveva una funzione relativa a una democrazia protetta, proprio per il diverso contesto storico e cultuale dell’epoca. Vedo, al momento, una rabbia sociale e una violenza che prescindono dal dibattito. La ricerca dello scontro violento prevale rispetto alla ricerca dei contenuti”.

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