Due gay si sono visti riconoscere il diritto dalla Corte d’Appello di Trento ad essere considerati genitori di due bambini nati negli Stati Uniti grazie alla maternità surrogata, riconoscendo il valore giuridico dell’atto di nascita. Un’ordinanza che costituisce l’ennesimo attacco alla famiglia e apre la strada alla legittimazione dell’omogenitorialità. La notizia è stata diffusa dal portale “Articolo 29”. La decisione, presa il 2 febbraio e depositata il 23, si basa soprattutto su due aspetti: “l’esigenza di salvaguardare il diritto del minore alla continuità dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori, il cui mancato riconoscimento non solo determinerebbe un grave pregiudizio per i minori, ma li priverebbe di un fondamentale elemento della loro identità familiare, così come acquisita e riconosciuta nello stato estero in cui l’atto di nascita è stato formato” e “l’assoluta indifferenza delle tecniche di procreazione cui si sia fatto ricorso all’estero, rispetto al diritto del minore al riconoscimento dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori che lo abbiano portato al mondo, nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa”.
La Corte, composta dal presidente Maria Grazia Zattoni e dai consiglieri Laura Paolucci e Anna Luisa Terzi nella sua motivazione usa quella che l’ex direttore di Avvenire Piergiorgio Liverani definiva efficacemente “antilingua”. Esclude infatti “che nel nostro ordinamento vi sia un modello di genitorialità esclusivamente fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato”. Si noti bene che non si usa il termine figlio, sostituito da un generico “nato”. “All’opposto – affermano ancora i giudici – deve essere considerata l’importanza assunta a livello normativo dal concetto di responsabilità genitoriale che si manifesta nella consapevole decisione di allevare ed accudire il nato”. La maternità surrogata viene poi messa sullo stesso piano dell’adozione perché viene citata “la favorevole considerazione da parte dell’ordinamento al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli anche indipendentemente dal dato genetico, con la regolamentazione dell’istituto dell’adozione”; infine viene considerata assolutamente normale “la possibile assenza di relazione biologica con uno dei genitori (nella specie il padre) per i figli nati da tecniche di fecondazione eterologa consentite”.
“La giurisprudenza creativa continua a fare i suoi passi e a mietere le sue vittime – commenta a caldo per In Terris Massimo Gandolfini, del Comitato Difendiamo i nostri figli, leader del Family Day – In Italia la maternità surrogata, l’utero in affitto, la gestazione per altri è condannata dalla legge 40 ma nonostante questo, usufruendo dell’inghippo della cosiddetta continuità affettiva, vengono legittimate pratiche che il nostro Paese invece condanna. C’è bisogno assolutamente, come stiamo dicendo ormai non da mesi ma da anni, di una legge che dichiari l’utero in affitto un reato universale, che cioè sia tale per i cittadini italiani a prescindere da dove sia compiuto”.
Questa ordinanza scardina le opposizioni all’omogenitorialità?
“E’ chiaro che è un pressing con quello scopo, che punta a quel tipo di legittimazione. E tutto questo viene fatto senza mai citare l’unico che davvero ha diritto, in quanto più debole e bisognoso di maggior attenzione e cura, che è il bambino, che ha diritto di avere un papà e una mamma. Tutto questo viene totalmente tacitato tirando fuori presunti diritti degli adulti che in realtà violano gravemente il vero diritto che è quello del bambino ad avere una famiglia naturale”.
Quanto ai temi sensibili, tiene banco in questi giorni la vicenda di Dj Fabo e il dibattito sull’eutanasia. Che ne pensa?
“La strumentalizzazione che è stata fatta della morte del povero Dj Fabo è vergognosa, serve solo a fare pressioni per il varo di una legge talmente piena di lacune che invece di risolvere qualcosa non farà altro che peggiorare la situazione. Così com’è il ddl Lenzi sulla dichiarazione anticipata di trattamento aprirà ancora più contenziosi tra malati e classe medica, che è proprio l’esatto contrario di quello che si dovrebbe ottenere: una sana alleanza di fiducia, di rapporto di cura e di interessamento reciproco che con quel tipo di legge viene gravemente violato”.