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UN GIORNO DI ORDINARIA RABBIA

Una giornata di protesta in un Paese lacerato dalla divisioni sociali. Tra chi ha tutto e chi lotta ogni ora per arrivare alla fine del mese. Da una parte i lavoratori e i loro diritti in bilico, dall’altra la politica che si arrocca, riflette, cerca una soluzione (dice) per tirarci fuori dal pantano del big crunch economico. Nel mezzo polizia e carabinieri. Assediati, presi di mira, insultati. Qualche scheggia impazzita esce dal gruppo e colpisce duro i manifestanti. Disperazione che crea violenza, in un verso e nell’altro. Matteo Renzi lo sapeva: sono vent’anni che per far fronte alla crisi occupazionale si cerca di mettere mano alla legge 300 del 70 e all’art 18. Moloch, totem, inutile regalia, è stato chiamato un po’ in tutti i modi. Ma per chi ce l’ha, il lavoro, è la garanzia di non perderlo. Giusto o sbagliato conta sino a un certo punto. Perché la mobilitazione di ieri è un fatto grosso, da tenere in considerazione; da Milano a Roma, passando per Napoli, sino ad arrivare a Palermo.

In 25 città lo sciopero sociale ha portato in piazza migliaia di persone inferocite, guidate dai sindacati di base Cobas, Cub, Usi e Adl Cobas. Tensione alle stelle nella Capitale, già in tumulto dopo le rivolte anti immigrati scoppiate a Tor Sapienza. Specie quando il corteo ha raggiunto il ministero del Tesoro. Slogan e canti contro l’Esecutivo hanno subito lasciato il passo al lancio di uova, petardi e bombe carta. Negli stessi istanti alcuni lavoratori di una ditta privata si sono arrampicati sulle impalcature del Colosseo per affiggere uno striscione che recitava “No Jobs act e privatizzazione servizi pubblici”. Nel frattempo a Napoli la manifestazione si snodava lungo la tangenziale, bloccando il traffico, facendo adirare chi voleva muoversi e non poteva. Ma l’obiettivo dei sindacati era anche quello: non passare inosservati, mostrare i muscoli persino a chi in piazza non è voluto scendere. Il Vesuvio guardava placido senza fumare: la lava incandescente era già nelle strade.

Milano ha rivissuto per alcune ore gli anni 70. A piazza Santo Stefano (a due passi da piazza Fontana…) gli studenti si sono fronteggiati con le forze dell’ordine tirando bottiglie, petardi e altri oggetti. La polizia ha cercato di stoppare il tentativo di sfondamento e l’aria si è fatta acre per l’odore dei lacrimogeni. Stavolta la nebbia non era buona per una cartolina, ma puzzava di rabbia. A Torino la Digos ha sequestrato al Gruppo Studenti Indipendenti bastoni, mazze e materiale esplosivo. Dalle finestre qualcuno avrà pensato ai giorni di fuoco della Fiat. Ironia della sorte: ora il Lingotto parla inglese. Un vuoto nell’economia di un Paese a pezzi, una foto in bianco e nero crepata.

Pochi chilometri ad ovest una Genova distrutta dall’acqua e dall’inefficienza amministrativa ha visto sfilare cinque cortei che hanno mandato in tilt la città già alle prese con i danni dell’alluvione. E poi Padova, dove il capo della Mobile, crollato a terra, è stato colpito allo zigomo da un calcio vigliacco. Il tutto mentre gli attivisti dei centri sociali tentavano, minacciosi, di avvicinarsi alla sede del Pd. E i politici? Hanno discusso, ragionato, parlato, ma senza fornire risposte concrete. Renzi resta attaccato alle sue idee: per uscire dalla crisi bisogna cambiare. Sarà il futuro a dire se avrà avuto ragione. Il presente, per ora, parla di disperazione. Nuove manifestazioni sono previste anche oggi. A Roma la protesta contro il degrado non si è spenta. Ieri il sit in del gruppo di estrema destra Casapound nel quartiere di Fidene, stamattina la mobilitazione dei residenti delle periferie. Non sarà il lavoro ma anche il diritto a una vita dignitosa merita di essere difeso.

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