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Turchia, ecco la legge anti-social: stretta del governo sui contenuti online

Dopo il caso Wikipedia, nuova restrizione del governo di Erdogan ai portali web. Amnesty: "E' censura"

Passata l’ondata di mugugni per la vittoria del campionato dell’Istanbul Basaksheir, in Turchia le proteste tornano su terreni più contigui alla politica del Paese. Il parlamento turco ha infatti approvato la legge che, di fatto, porrà sotto controllo i maggiori social media. Il che, in sostanza, imporrà a tutti i nomi del settore (inclusi Facebook, Twitter e Youtube) di far riferimento a un referente locale. L’obiettivo è vigilare affinché i contenuti veicolati attraverso i social non entrino in rotta di collisione con le normative turche. Potendo optare, in caso, per la rimozione. Una legge proposta dal partito presidenziale, l’Akp, e sostenuto dalla seconda forza di maggioranza, i nazionalisti di Mhp.

Turchia, “un nuovo Medioevo”

Le nuove disposizioni non sono state prese in simpatia, né dai partiti d’opposizione né tantomeno dagli enti che vigilano sul rispetto delle libertà civili. Gli avversari di Erdogan sostengono che la legge limiterà la libertà d’espressione in un contesto in cui già i media nazionali sono sottoposti a restrizioni. Del resto, la principale istanza mossa contro la decisione di Ankara riguarda proprio la possibilità che il giro di vite imposto ai social limiti ulteriormente il raggio d’azione dell’informazione indipendente. E l’allarme arriva anche da Human Rights Watch, secondo il quale si tratta “un nuovo Medioevo della censura online”.

Ancora più diretto l’affondo di Amnesty International, secondo la quale “rafforzerà le capacità del governo di censurare i contenuti e perseguire gli internauti. È l’ultimo e forse il più sfrontato attacco alla libera espressione in Turchia. I giornalisti passano già anni dietro le sbarre per le loro notizie critiche e gli utenti dei social media devono auto-censurarsi nel timore di offendere le autorità”.

Il blocco di Wikipedia

Non è la prima volta che la Turchia pone un freno ai grandi marchi dell’online. Strategia che aveva colpito non solo l’informazione ma anche il mondo della cultura. Aveva fatto scalpore, per due anni e mezzo, la decisione di Ankara di mettere al bando l’enciclopedia online Wikipedia. La società era stata accusata di non aver voluto rimuovere contenuti che, a detta del governo, metteva in relazione la Turchia con organizzazioni terroristiche. Nel dicembre scorso, una sentenza della Corte costituzionale di Ankara aveva definito il blocco come “una violazione della libertà d’espressione”. Ripristinando servizio e accessibilità.

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