Nuovo strappo del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ritira gli Stati Uniti dal trattato Open Skies. Una mossa che, di fatto, chiude la possibilità ad americani e russi di sorvolare i rispettivi territori, al fine di utilizzare strumenti di rilevazione elettronica su eventuali aree considerate come possibili luoghi di preparazione di attacchi militari. Una mossa in qualche modo attesa, vista la ripetuta accusa alla Russia, da parte di Washington, di averne violato i termini (stipulati nel 1992, all’epoca della presidenza Bush padre). Un’intesa che, sostanzialmente, rientrava nel novero dei nuovi rapporti fra gli Stati Uniti e l’ormai disgregata Unione Sovietica, alla fine della Guerra fredda.
L’accordo
L’intento degli Usa di estendere i termini dell’accordo anche alla Cina è stato fermamente respinto da Pechino. D’altronde, anche i termini stessi dell’intesa, risalente ormai a quasi trent’anni fa, non tiene di fatto conto delle diverse condizioni geostrategiche del 2020 rispetto al 1992 (e anche al 2002, anno in cui entrò in vigore ufficialmente) e che, al momento, comprende fra gli aderenti diversi Paesi Nato, ai quali la Russia potrebbe bloccare i voli di ricognizione nei tratti aerei rientranti sotto l’egida di Mosca. Una mossa probabile alla luce della decisione di Trump, che già lo scorso anno aveva sfilato gli Stati Uniti dall’Intermediate Nuclear Forces Treaty (datato 1987), relativo alla messa al bando dei missili di capacità fra i 500 e i 5.500 chilometri.
L’accordo in piedi
Componenti che, fin qui, avevano costituito il monitoraggio degli armamenti nucleari fra le due ex superpotenze. Resterebbe il New STrategicArmsReduction Treaty o New Start, stipulato nel 2010 da Barack Obama e Dimitrij Medvedev, che limita a 1.550 le testate nucleari dei contraenti (Usa e Russia). Un’intesa che, vista la scadenza prossima, potrebbe non essere sostituita da un nuovo Start. Sempre che Donald Trump, il quale la tendenza alla recessione sembra averla mostrata, resti alla presidenza.