Trattativa Stato-mafia, Corte d’Assise di appello assolve Dell’Ultri e gli ex ufficiali del Ros

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Dopo la condanne emesse nella sentenza di primo grado dalla Corte di Assise di Palermo, nell’ambito del processo sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia”, in appello arrivano le assoluzioni degli ex ufficiali del Reparto operativo speciale dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, accusati di minaccia al Corpo politico dello Stato, mentre a Leoluca Bagarella, in seguito a una riqualificazione del reato, è stata ridotta la pena. Confermate la condanna di Antonio Cinà e la prescrizione delle accuse al pentito Giovanni Brusca. L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Entro 90 giorni il deposito delle motivazioni della sentenza.

Le formule

Per Mori, Subranni e De Donno l’assoluzione (in primo grado condannati rispettivamente a 12 anni i primi due e a otto il terzo) è arrivato con la formula “il fatto non costituisce reato“, mentre Dell’Ultri, nella sentenza di primo grado definito “cinghia di trasmissione” tra i clan e gli interlocutori istituzionali dopo il 1993, è stato assolto “per non aver commesso il fatto“. La pena di Bagarella è stata ridotta da 28 a 27 anni perché i giudici hanno riqualificato il reato in tentata minaccia a Corpo politico dello Stato, dichiarando le accuse parzialmente prescritte.

La Corte, inoltre, ha revocato le statuizioni civili nei riguardi degli imputati De Donno, Mori, Subranni e Dell’Utri e rideterminato in cinque milioni di euro l’importo complessivo del risarcimento dovuto alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il dispositivo della sentenza

Nel testo del dispositivo del processo di appello si legge che “in parziale riforma della sentenza emessa dalla Corte di assise di Palermo in data 20 aprile 2018 assolve De Donno Giuseppe, Mori Mario e Subranni Antonio dalla residua imputazione a loro ascritta per il reato di cui al capo A, perché il fatto non costituisce reato” e “assolve Dell’Utri Marcello dalla residua imputazione per il reato di cui al capo A, come sopra riqualificato, per non avere commesso il fatto e dichiara cessata l’efficacia della misura cautelare del divieto di espatrio già applicata nei suoi riguardi”. In merito a Bagarella, “dichiara non doversi procedere nei riguardi di Bagarella Leoluca Biagio, per il reato di cui al capo A, limitatamente alle condotte commesse in pregiudizio del governo presieduto da Silvio Berlusconi, previa riqualificazione del fatto… come tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello stato, per essere il reato così riqualificato estinto per intervenuta prescrizione”, con rideterminazione della pena “in anni 27 di reclusione”.

La storia della “trattativa”

Secondo la Procura di Palermo la cosiddetta “trattativa” sarebbe partita dai contatti tra gli ufficiali dei carabinieri e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, nella stagione delle stragi con l’uccisione dell’eurodeputato Salvo Lima, nel marzo del 1992. Dal canto loro, gli ex ufficiali del Ros hanno sostenuto si trattasse di attività investigativa per far cessare le stragi e catturare il capo di Cosa nostra, Salvatore “Totò” Riina. Nel 2008 la vicenda è diventata fascicolo giudiziario. Il dibattimento in primo grado era cominciato il 27 maggio 2013, concludendosi il 20 aprile 2018 con le condanne a 28 anni per Bagarella, a 12 per Mori, Subranni, Dell’Utri e Cinà, 8 per De Donno. Il giudizio di appello è cominciato il 29 aprile 2019, con un diverso verdetto.

Lorenzo Cipolla: