La mente ripercorre veloce gli anni trascorsi, fermandosi a Sepang, con le sue immagini scolpite nella pietra. Quel 23 ottobre del 2011, un incidente in gara costò la vita a Marco Simoncelli, ferito a morte da un contatto inevitabile con altre due moto. Fotogrammi uguali a ferite aperte, risvegliate nemmeno 24 ore fa quando, sul circuito del Mugello, il diciannovenne Jason Dupasquier era rimasto vittima di un incidente drammaticamente simile. La caduta durante le qualifiche della Moto 3, la sua KTM che lo colpisce e, in seguito, quelle di altri due colleghi. Uno di questi estremamente violento. Inevitabile, anche questo. E Dupasquier ha lottato finché ha potuto, con la forza e l’attaccamento alla vita della sua giovanissima età. Ma questa battaglia non ha potuto vincerla. In mattinata, l’Ospedale Careggi di Firenze annuncia la tragedia: “Il cuore di Jason Dupasquier ha cessato di battere”.
Dupasquier, il cordoglio dello sport
Le sue condizioni erano apparse da subito disperate. Troppo gravi gli impatti, così come le ferite riportate. Lui, figlio d’arte (suo padre Philippe è un ex pilota di motocross e Supermotard) con la passione per la velocità, portato via da un incidente fatale. Come Marco, dieci anni fa. E come Daijiro Kato, quasi venti. Una tragedia che sconvolge ancora il mondo delle corse, stretto in unico abbraccio alla famiglia di Jason. “Siamo profondamente rattristati nell’annunciare la morte di Jason Dupasquier – ha scritto su Twitter il canale ufficiale della MotoGp -. A nome di tutta la famiglia MotoGP, inviamo il nostro affetto alla sua squadra, alla sua famiglia e ai suoi cari. Ci mancherai moltissimo, Jason. Guida in pace”.