Stacchiola (Articolo 26): “Evitare di contrapporre i sessi, educare al rispetto”

Si celebra oggi la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Sono centoquattro le donne uccise dall’inizio dell’anno in Italia, fino al 20 novembre 2022. Da Guglielmina, soffocata dal marito il 6 gennaio, a Vera, accoltellata a morte dall’ex soltanto quattro giorni fa. Questo su un totale di 273 omicidi commessi in Italia. Dove si muore di più è proprio in famiglia. Sono 88 i femminicidi avvenuti in ambito affettivo o familiare. Di questi, 52 hanno visto come carnefice il partner o l’ex. I numeri sono quelli del report diffuso dal Viminale.

Una tragedia senza fine

Di queste 104 vittime, 35 avevano più di 64 anni, la maggior parte di loro, secondo i dati Eures. Le morti, nello stesso periodo dell’anno scorso, sono state 109. Un lieve calo che non cambia i fatti: le donne continuano ad essere uccise. Solo nell’ultima settimana, 14-20 novembre, gli omicidi in Italia sono stati dieci. Sette vittime erano donne, due sono state uccise da partner o ex. La maggior parte di loro è stata uccisa con coltelli, almeno 37 su 104. Altre 23 con armi da fuoco.

I femminicidi a mani nude

Ventiquattro donne sono state uccise a mani nude e da percosse. Secondo i dati Istat, nel 2021 le vittime uccise in una relazione di coppia o in famiglia sono state 139: 39 uomini e 100 donne. Di queste, il 58,8% è vittima di un partner o un ex. A livello mondiale, secondo l’Onu, ogni ora più di cinque donne e ragazze hanno trovato la morte in famiglia. Questo corrisponde a un femminicidio ogni dodici minuti.

L’intervista

Un quadro drammatico quello che emerge da questi rapporti. Una terribile piaga a cui bisogna porre prontamente rimedio. Una parte la dovranno fare le istituzioni, il Governo, varando leggi che proteggano ogni donna. Dall’altro lato, bisogna mettere in campo una strategia di prevenzione a partire dalle scuole, sensibilizzando gli studenti su un problema che riguarda tutta la società. Interris.it ha intervistato Carlo Stacchiola, presidente di Articolo 26 APS, associazione no profit, membro del FoNAGS – il Forum nazionale delle Associazioni dei Genitori nella Scuola presso il MIUR – e membro dell’EPA – European Parents’ Association.

Presidente Stacchiola, come vedete il problema della violenza sulle donne, in particolare in riferimento ai giovani?

“La violenza sulle donne è una piaga inaccettabile in molti paesi e una problematica che sollecita ed esige risposte serie e concrete, essendo trasversale a differenti culture e fasce sociali. Come associazione di genitori assistiamo con preoccupazione nel nostro paese ad una escalation di violenza negli adolescenti che assume svariate forme, dal cyberbullismo al fenomeno delle baby gang. Per quanto riguarda la relazione tra i due sessi, notiamo che gli adolescenti sono esposti ad alcuni rischi in particolare: modelli sessualizzanti e violenti possono diventare un riferimento e talvolta essere letti addirittura come naturali o persino vincenti, mentre di fatto non esiste nessun tipo di schermatura ai canali che li propongono a causa della pervasività dei media, dei social e delle piattaforme di streaming video. La pornografia e la iper-sessualizzazione a nostro parere costituiscono il classico ‘elefante nella stanza’: studi scientifici dimostrano ampiamente la correlazione stretta tra violenza e ‘consumo’ di porno, in quanto veicolo di una visione distorta delle relazioni affettivo/sessuali che riduce il partner ad oggetto, sottomesso ai propri impulsi. Questi sono ingredienti che purtroppo entrano sottopelle e diventano mentalità condivisa soprattutto nelle fasce più disagiate e fragili, ma anche nei ceti alti della popolazione giovanile. Stupisce il fatto che la società non tenti neppure di porre un argine a tutto questo; o forse, amaramente, non dovrebbe stupire più di tanto nel momento in cui dietro questi fenomeni si scorgono business miliardari intoccabili: si pensi a portali come YouPorn, tranquillamente accedibili da minorenni, o nuove piattaforme come Onlyfans che strizzano l’occhio alla mercificazione del proprio corpo”.

Come genitori, ma più in generale come adulti, come possiamo aiutare i giovani?

“Come adulti dobbiamo essere formati sulle problematiche esistenti e, se davvero intendiamo dare in mano uno smartphone a dei ragazzini, dobbiamo per lo meno interpellarci su quello a cui vanno incontro ed essere costantemente al loro fianco per guidarli in maniera adeguata”.

Nel mondo della scuola, quali interventi sarebbe necessario mettere in atto?

“Spesso nella scuola si tende a banalizzare il problema con progetti che lo inquadrano solo in parte. Si parla spesso di ‘decostruzione degli stereotipi di genere’ come metodo fondamentalmente unico per la prevenzione della violenza sulle donne: un approccio che a mio parere arriva corto rispetto agli obiettivi e che peraltro forse non è neppure esattamente a fuoco, come confermano i dati dei paesi molto avanti nella parità di genere dove la tematica risulta tutt’altro che indirizzata, forse ancora più acutizzata. In primo luogo, i nostri ragazzi oggi sono naturalmente inclini a considerare normali modelli di donne emancipate, indipendenti e capaci di realizzarsi professionalmente anche con risultati migliori dei coetanei maschi, del resto come è giusto che sia. Semmai il tema dei modelli femminili andrà affrontato nella integrazione dei figli di extracomunitari di seconda generazione che devono fare i conti con visioni tradizionali della donna non sempre affini alle nostre. Per la nostra esperienza, vanno valorizzati i percorsi di educazione emotiva che promuovono l’attitudine alla solidarietà e al confronto: è logico che tali percorsi si debbano fondare da un lato su un approccio scientifico basato su dati biologici e dall’altro sulla valorizzazione dell’altro sesso come differente e complementare, nell’ottica della persona umana che ha un valore unico in sé”.

Come realizzare questo obiettivo?

“Occorre evitare di contrapporre i due sessi: se da una parte va insegnato ai ragazzi a non sminuire il sesso femminile secondo i canoni imposti da una società edonista e consumista dove troppo spesso la femminilità è ridotta all’attrattività sessuale, dall’altro lato è inaccettabile far percepire il sesso maschile come minaccioso o persino tossico in sé: i giovani sono desiderosi di ricevere strumenti per comprendere la realtà delle dinamiche affettive e psicologiche che sono alla base di tutte le loro relazioni per acquisire consapevolezza del proprio io e poter fare le loro scelte in maniera integrata e matura. Inoltre i ragazzi fiutano subito se un’attività didattica è proposta perché ‘si deve fare’ o perché mossa da un interesse reale dal mondo degli adulti verso i loro bisogni e domande: in questo senso l’educazione ‘al rispetto’ che si insegna a scuola non può prescindere, ancor più nel contesto confuso e narcisistico di oggi, da una proposta ‘forte’ che provochi i giovani parlando al loro cuore, alle loro aspettative più profonde, fino a riscoprire valori morali e virtù”.

E nell’ambito famigliare?

“La famiglia è il nucleo fondamentale della società e per sua natura costituisce la prima scuola di relazioni: non siamo individui, ma persone in relazione che imparano le modalità per confrontarsi nel rispetto accogliendo le differenze. La famiglia offre spazi preziosi di tessitura di legami verticali, solidarietà intergenerazionale, relazioni che danno il senso della continuità temporale; famiglia significa poter sperimentare rapporti di prossimità, parentela e vicinanza orizzontale, che consentono la coesione in una comunità. Anche in riferimento a questo tema, i ragazzi imparano da quello che vivono ed in particolare da come vedono il rapporto tra i loro genitori e come viene insegnato a vivere anche il rapporto fratelli/sorelle, ciascuno con i suoi spazi e le proprie esigenze specifiche. Per questo il mezzo migliore per prevenire una attitudine alla violenza da adulti è sostenere i genitori sia nei loro compiti educativi che nei momenti di fragilità familiare cui tutti noi siamo sottoposti, per attutire gli effetti negativi sui bambini, oltre che sulla coppia stessa, e prevenire situazioni di violenza domestica vera e propria”.

Manuela Petrini: