L’impero di Joseph Blatter trema sotto i colpi degli scandali che negli ultimi giorni hanno travolto la Fifa. Mercoledì mattina l’indagine relativa alle presunte tangenti incassate da alcuni dirigenti per l’assegnazione dei mondiali e dei diritti tv ha portato all’arresto di sette persone. Un’operazione che ha smascherato il lato oscuro del calcio, sport sempre più legato al business, ai grandi affari e lontano anni luce dalle famiglie e dai giovani. Blatter per il momento non è stato coinvolto nell’inchiesta ma la sua riconferma inizia a vacillare, specie ora che la federazione più potente, l’Uefa, gli ha tolto la sua fiducia e ne ha chiesto le immediate dimissioni. Il numero uno del calcio europeo, Michelle Platini, si è detto “disgustato” da quanto avvenuto e ha annunciato: “in molti ora voteranno per il principe Bin Al-Hussein”, figlio del re Hussein bin Talal I di Giordania e mezzo fratello del sovrano Abd Allah II.
Incassata la bocciatura dell’Uefa, tra l’altro invocata dalla Premier League (una super potenza in grado di fatturare quasi 3 miliardi di euro l’anno) e sostenuta dalla Serie A italiana (“stiamo con Platini” ha detto il presidente federale Carlo Tavecchio”), Blatter ha provato a difendersi: “Non posso controllare tutto e tutti”. Ma le giustificazioni e l’intenzione di “recuperare la fiducia degli appasisonati” non sopiscono i sospetti attorno a un uomo tanto potente quanto discusso. In quasi 20 anni Blatter è finito spesso al centro di scandali dai quali, però, è sempre uscito pulito.
Più volte le sue uscite inopportune o i suoi gesti eclatanti ne hanno rovinato l’immagine, senza tuttavia scalfirne la leadership. Chi non ricorda quando, nel 2006, si rifiutò di consegnare la Coppa del Mondo all’Italia? O quando disse che nel calcio non esiste razzismo? Oppure quando motivò la scelta del Qatar per i mondiali del 2022 affermando di aver avuto pressioni da Francia e Germania? Gaffe e ombre che tuttavia non lo hanno mai indebolito. Ora le cose potrebbero cambiare: a far vacillare l’ex colonnello svizzero potrebbe essere il risvolto economico dello scandalo Fifa. La federazione calcistica mondiale ha negli anni concluso ricchi contratti con sponsor di primo livello, tra cui Visa, Nike, Adidas, Coca Cola e Mac Donald’s. Multinazionali da sempre attente alla propria immagine e pronte far saltare gli accordi laddove la Fifa non faccia pulizia.
Il leader mondiale delle carte di credito, partner dal 2007 e che recentemente ha prolungato il contratto fino al 2022, ha chiesto misure immediate “per ricostruire robuste pratiche etiche” all’interno della Fifa. Se ciò non dovesse accadere la Visa si è detta pronta a rivedere la sponsorizzazione. Anche la Coca-Cola, sponsor da 30 milioni di dollari l’anno, e McDonald’s hanno chiesto chiarezza, ricordando come “questa inchiesta ha offuscato la missione e gli ideali della Fifa”. Il gigante del fast-food (sponsor di secondo livello, come la Budweiser, e attivo solo nelle grandi kermesse internazionali) si è detto “estremamente preoccupato” per le rivelazioni delle ultime ore, aggiungendo che valuterà’ “molto seriamente” ogni questione relativa all’etica e alla corruzione.
Tra l’altro, proprio la scorsa settimana, Adidas, Coca-Cola e Visa avevano invitato la Fifa a fare pressione sul Comitato organizzatore del Mondiali in Qatar per cercare di migliorare le condizioni dei lavoratori migranti nel piccolo Paese del Golfo Persico che si prepara ad ospitare la Coppa del Mondo 2022. E le sollecitazioni degli sponsor sono qualcosa che la Fifa non può ignorare, considerando che essi garantiscono quasi un terzo dei suoi ricavi. Basti pensare che nel triennio 2011-2014, la super federazione ha generato un giro d’affari di 5,7 miliardi di dollari e solo le partnership commerciali hanno inciso per 1,6 miliardi dollari. Solo nel 2014, poi, ha incassato qualcosa come 162 milioni di euro dai suoi sponsor storici (Adidas, Coca-Cola, Emirates, Hyundai, Sony e Visa), più altri 120 dagli accordi siglati per i Mondiali in Brasile. Insomma, una torta ricchissima che la Fifa non può perdere, anche a costo di sacrificare il suo imperatore.