Dopo la mobilitazione del 5 maggio la scuola torna in piazza per protestare contro la Buona Scuola, la riforma opera del duo Renzi-Giannini per restituire competitività al nostro sistema di pubblica istruzione. Lo sciopero coinvolgerà tutto il personale: insegnanti, dirigenti e Ata (cioè gli impiegati amministrativi) e fa parte di una più ampia iniziativa che si articolata in tre diversi appuntamenti, il 5 maggio (con la partecipazione delle tre principali confederazioni sindacali), il 6 maggio e oggi. Mentre nelle due precedenti occasioni a protestare erano stati i rappresentanti di elementari e materne oggi a farla da padrone saranno medie inferiori e superiori (cioè licei, istituti tecnici e professionali).
La mobilitazione si svolgerà durante l’intera giornata ed è stato indetto da Cobas Scuola ed Asa, ma vi hanno aderito anche Unicobas, Autoconvocati Roma e Usi. Nel mirino dei manifestanti i punti cruciali della riforma: rafforzamento del potere dei dirigenti per incrementare l’autonomia scolastica, modifiche nel sistema della valutazione dei docenti e Invalsi. Al centro della contestazione odierna ci sono proprio i testi che gli scolari dovrebbero svolgere in queste ore. Alcune sigle sindacali hanno allora previsto una forma di mobilitazione alternativa a quella di piazza chiamata “sciopero breve di mansione”. Consiste nel presentarsi regolarmente a scuola rifiutandosi però di consegnare il test agli alunni. E’ stata in particolare l’Usb a indire questa protesta ma il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca non ha ancora chiarito se aderire a questa tipologia di mobilitazione comporterà per i professori una trattenuta dallo stipendio.
Secondo una ricerca di Skuola.net svolta su circa 2mila studenti, ben il 45% dei ragazzi dichiara che nella sua scuola ci saranno proteste contro la prova. E’ soprattutto tra i ragazzi del liceo che emerge questo dato, rilevato invece in misura minore tra quelli dei tecnici e professionali. Solo il 17% dei ragazzi della scuola secondaria considera gli Invalsi un modo utile per valutare la scuola e migliorarla. La restante percentuale non è soddisfatta dai contenuti e le modalità del quiz: circa 1 su 3 pensa che una prova unica nazionale non possa tenere conto dei diversi contesti, ma c’è anche chi è contrario al sistema del test crocette (15%) e chi vorrebbe che sia vietato usare la prova per un voto di rendimento (14%). Inoltre, un buon 14% considera l’Invalsi totalmente inutile per via delle irregolarità che si verificano puntualmente a causa del boicottaggio di prof o studenti. Lo stesso sondaggio sostiene che un alunno su cinque non ha le idee chiare su cosa sia il test Invalsi e a cosa serva. Permangono gli stessi dubbi anche sul “Questionario dello studente”, spesso al centro di polemiche per via delle domande sul contesto familiare e socio-economico degli studenti, seppure del tutto anonimo. Il 27% non capisce quale sia la sua funzione, e il 17% è del tutto contrario a dare informazioni di questo tipo all’Invalsi. Addirittura, il 18% dubita della correttezza dei suoi professori e crede che potrebbero “sbirciare” il foglio per altre finalità.
Il governo, dopo lo sciopero generale del 5 maggio scorso, ha messo mano al ddl Buona Scuola cercando di rispondere alle richieste del personale. Ma le modifiche apportate al test sembrano più soft di quanto si pensava in un primo momento. Nello specifico la nuova bozza chiarirà che saranno assunti tutti i precari delle graduatorie a esaurimento che si chiuderanno per svuotamento. Resteranno soltanto 23.000 docenti della scuola d’infanzia che verranno presi in un secondo tempo, quando diventerà legge la riforma del percorso scolastico 0-6 anni. Il concorso poi riguarderà 60mila abilitati e il prossimo regolamento valorizzerà titoli di studio e servizio svolto. Veniamo però ai tre punti più contestati; è stato, innanzitutto, approvato un emendamento in base al quale il preside da gli indirizzi per il piano dell’offerta formativa triennale, il collegio dei docenti lo elabora e il consiglio d’istituto lo approva. Per quanto riguarda gli albi territoriali avranno dimensione sub-provinciale e accoglieranno persone tutte assunte a tempo determinato. Gli insegnanti saranno scelti dal preside sulla base di un curriculum ma la cosa non sarà più unidirezionale: anche i docenti potranno infatti proporsi a un determinato istituto. Per quanto riguarda i 200 milioni di premialità distribuiti a maestri e professori la scelta viene affidata a direttori e presidi, ma il dirigente scolastico sarà affiancato da un Comitato di valutazione di cui faranno parte due insegnanti, rappresentanti dei genitori e degli studenti. Il bonus potrà anche essere utilizzato anche per “trattenere” gli insegnanti ritenuti validi nella scuola in cui già lavorano.