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Schengen sospeso: non è la prima volta ma ora l’accordo traballa

Dal 2006 a oggi è successo 387 volte. Stavolta, però, le condizioni appaiono diverse: "L'idea di chiudere le frontiere interne - ha spiegato a Interris.it Leonardo Panetta, corrispondente Mediaset da Bruxelles - sta prendendo sempre più piede"

Stop a Schengen, via ai controlli rafforzati alle frontiere. O almeno, per quel che riguarda l’Italia, al confine nord-orientale, che separa la demarcazione con la Slovenia. Con Lubiana che ha fatto altrettanto con le linee di divisione territoriale con Croazia e Ungheria, e con altri 8 Paesi a fare lo stesso, mettendo Bruxelles di fronte a un fatto compiuto e inoppugnabile da un punto di vista normativo. Perché, al netto dei principi dell’intesa che prevedono la libera circolazione delle persone attraverso le frontiere dei Paesi che l’accordo lo hanno sottoscritto, la decisione di rafforzare i controlli alle dogane resta arbitraria. E applicabile a discrezione dei Paesi stessi. La motivazione, stavolta, è evidente: cercare di prevenire, per quanto possibile, fatti come quelli Bruxelles, il rischio dei quali è esponenzialmente salito a seguito della nuova escalation in Medio Oriente tra Hamas e Israele.

Perché la sospensione è legittima

Se cambia la motivazione, non cambia tuttavia il concetto. Né il meccanismo al quale i Paesi membri di Schengen fanno appello. Basti pensare, come spiega a Interris.it Leonardo Panetta, corrispondente Mediaset da Bruxelles, che “dal 2006 a oggi la pratica di sospensione è stata utilizzata per ben 387 volte. Quindi i Paesi, anche se aderiscono a un accordo che riguarda 23 nazioni dell’Unione europea più alcune esterne, come la Norvegia e la Svizzera, hanno sempre la possibilità di adottarla”. E questo perché “la gestione delle frontiere resta sempre di loro competenza”.

Misura inattaccabile

Peraltro, anche se la notizia di una parziale sospensione dell’Italia ha fatto notizia, qualcuno aveva cominciato a rafforzare le dogane già nelle scorse settimane. Dalla Germania alla Repubblica Ceca e anche alla Polonia, che avevano alzato il livello di attenzione a seguito dei numerosi sbarchi a Lampedusa. Chiaramente, dopo l’attentato a Bruxelles, l’allerta terroristica, direttamente collegata al perdurare della guerra tra Hamas e Israele, ha provocato un effetto domino: “I fatti della capitale belga – ha spiegato Panetta – hanno riportato d’attualità il tema degli immigrati irregolari. C’è, al momento, la volontà di chiudere e controllare meglio le frontiere”. A ora, sono 10 i Paesi che hanno optato per la sospensione di Schengen. Misura legittima e inattaccabile, almeno a livello normativo, da parte dell’Unione europea: “È chiaro che la misura non è incentivata dall’Europa ma Bruxelles non può fare nulla, perché un singolo Paese, in caso eccezionale e motivando la decisione, può fare questa scelta. Rientra in uno degli ambiti in cui l’Europa non può intervenire”.

Cosa è (già) cambiato

L’intensificazione dei controlli alle dogane è già cominciata. E se, da un lato, “è difficile prevedere una dogana come una volta, più complesso sarà se ci si muove in aeroporto. Uno scenario simile si è già verificato in Francia, dopo gli attentati del 2015. Schengen rimase sospeso per tre anni“. Non è chiaro, però, quale sarà la portata dello stop in un contesto come quello attuale, anche alla luce delle altre crisi internazionali in corso. “Attualmente – precisa Panetta – si parla di misure provvisorie. È chiaro che le circostanze attuali siano aperte a scenari di qualunque tipo. Potrebbe essere uno stop prolungato. Citando i ministri degli Interni di Germania e Austria, Schengen non è morto ma si è rotto”.

Le crepe di Schengen

E, al netto delle formalità giuridiche che danno facoltà agli Stati di sospenderlo, appare chiaro che la sfida, da qui ai prossimi mesi, sarà quella di rimetterne insieme i pezzi: “L’accordo mostra delle crepe perché questa idea di chiudere le frontiere interne sta prendendo sempre più piede, se non si arriverà a un buon accordo sull’immigrazione. Un altro aspetto è quello che molti Paesi chiudono le frontiere perché da una parte non vogliono il passaggio dei migranti verso i Paesi del Nord Europa, dall’altro che ci siano dei passaggi anche indietro. I fatti di Bruxelles hanno messo in evidenza come questo tipo di transito non funzioni più”.

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