Ancora il “Washington Post”, ancora uno scoop legato al Russiagate che coinvolge direttamente il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, all’indomani del suo settantunesimo compleanno. E la rivelazione, stavolta, è di quelle scottanti: secondo la testata della capitale, infatti, “il procuratore speciale che guida l’inchiesta sul ruolo della Russia nelle elezioni del 2016 interrogherà alti dirigenti dell’intelligence come parte di una più ampia indagine che ora include l’esame dell’ipotesi se Donald Trump ha tentato di ostruire la giustizia”. A guidare l’inchiesta sulle presunte interferenze russe negli affari degli States, dopo il licenziamento del capo dell’Fbi James Comey, è il procuratore Robert Mueller, nominato dallo stesso Tycoon.
Onda lunga
Al di là della pesante accusa di ostruzione alla giustizia, la notizia è che, effettivamente, il procuratore speciale avrebbe messo nel mirino dell’indagine proprio il discusso inquilino della Casa Bianca, gettando le basi per quello che, qualora il tutto si costituisse di presupposti più concreti, diverrebbe un possibile impeachment. Finora, infatti, il coinvolgimento di Trump nell’ambito dell’indagine sul Russiagate era stato più che altro indiretto e, a questo proposito, l’incontro di gennaio con l’allora direttore Fbi Comey aveva in un certo senso rassicurato il presidente sulla sua posizione in proposito. Eppure, proprio a seguito del licenziamento improvviso del maggio scorso, le tessere del domino hanno cominciato a cadere fino alla rivelazione notturna del quotidiano statunitense che, questa volta, parla di un presunto reato non certo di poco conto, relazionato alla rimozione di Comey dal suo ruolo a capo dell’inchiesta.
Trump e l’ombra impeachment
Il legale di Donald Trump, Marc Kasowitz, ha fatto sapere tramite portavoce che “la fuga di notizie dell’Fbi riguardanti il presidente è scandalosa, ingiustificabile e illegale”. La rivelazione del “Wp”, però, va a creare ulteriore scompiglio in una situazione già di per sé delicata. Secondo cinque fonti informate sui fatti, tre nomi particolarmente altisonanti dell’Intelligence statunitense avrebbero volontariamente già concordato un incontro con Mueller nei prossimi giorni: si tratta del capo della National Intelligence, Daniel Coats, del direttore della Nsa, Mike Rogers e del suo ex vice, Richard Ledgett. Nei giorni scorsi anche l’ex direttore dell’Fbi si era presentato davanti al Senato per la sua deposizione, ribadendo l’atteggiamento di pressione tenuto da Trump per accelerare il decadimento dell’indagine a carico di Michael Flynn, ex consigliere per la Sicurezza nazionale, poi rimosso. A seguito di queste dichiarazioni, il presidente aveva definito Comey “un bugiardo”, dicendosi pronto a testimoniare. E, arrivati a questo punto, la spada di Damocle sul Tycoon non è certo indifferente: qualora le rivelazioni del “Wp” corrispondessero al vero e il procuratore Muller trovasse elementi di reato, l’ombra dell’impeachment, per il momento ancora remota (anche se Nixon si dimise per la medesima accusa), potrebbe farsi improvvisamente più minacciosa.