“Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”. Ci ha pensato l’accento romano di Salvatore Buzzi, signore delle coop e presunto pretoriano dell’ex Nar Massimo Carminati, a sbatterci in faccia l’infimo racket ordito sulle spalle dei disperati. La questione non è di poco conto, perché la torta spartita è grossa e il business si svolge su entrambe le sponde del Mediterraneo. Da una parte ci sono gli scafisti, che possono arrivare a chiedere fino a duemila euro per ogni persona trasportata sulle coste europee, dall’altra la ghiotta partita dei rimborsi e dei finanziamenti erogati dallo Stato ai centri di accoglienza. Nel mezzo ci sono loro, i migranti, trattati come animali prima, usati come merce di scambio poi.
Tra le due cose non c’è differenza: sempre di schiavismo si tratta, in Nord Africa come Italia. E fa male pensare che dentro questa melma possano nascondersi esponenti politici e amministratori di Paesi che si dicono civili. Magari gli stessi che infarciscono i loro programmi di proclami sulla sicurezza (da un lato) o sulla solidarietà (dall’altro). A testimonianza del fatto che xenofobia e buonismo ipocrita rappresentano troppo spesso due facce della stessa medaglia.
“Non lasciamo i migranti in balia del mare e di bande di trafficanti senza scrupoli” è stato l’appello del Papa ieri. Ma non commettiamo l’errore di sentirci esentati da questo drammatico monito: non è solo agli uomini del deserto cui dobbiamo rivolgere la nostra condanna ma anche a quelli incravattati e impomatati che cedono alle lusinghe della piovra, permettendole di allungare i suoi tentacoli sugli esili corpi di chi ha cercato di sfuggire alla morte e alla miseria.
L’inchiesta della magistratura romana ha svelato i proventi del business dell’accoglienza. Mediamente ogni centro incassa dallo Stato, sotto forma di rimborso, 42 euro per ogni persona ospitata (80 se si tratta di minorenni) per un totale di 5 milioni al mese. Una prospettiva di guadagno che ha riempito queste strutture oltre le loro possibilità, rendendo precarie le condizioni igieniche degli ospiti. Non più barconi in balia delle onde, ma prigioni legalizzate dove il confine tra la vita e la morte è similmente labile.
Per non parlare poi dei campi nomadi, per i quali l’ente Roma Capitale nel 2013 ha erogato 24 milioni di euro. Solo il 13,6% di questa cifra è stata destinata a progetti di scolarizzazione (volti a promuovere l’integrazione). Il tutto mentre nelle periferie delle nostre metropoli la rabbia rischia di esplodere da un momento all’altro. Dimostrazione su carta bollata del fallimento delle misure spot, come gli sgomberi indiscriminati degli insediamenti rom.
E mentre le città si scoprono nuovamente nelle mani del crimine, sulle coste proseguono, incessanti, gli sbarchi. Secondo L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati gli immigrati giunti in Europa tramite il Mediterraneo ad agosto erano oltre 124mila (più del doppio rispetto al 2013), tra cui 16mila minori (8.600 non accompagnati). Ma il dato più drammatico è quello delle morti nel Canale di Sicilia: circa duemila da inizio anno, stando soltanto alle stime ufficiali; le cifre reali sarebbero molto più alte, ma sono segreti che custodisce il mare. Vite spezzate dal freddo, dall’acqua o dai piedi di altri disperati, mentre decine di affaristi, sulle nostre sponde, sbattevano furenti i pugni sul tavolo calcolando, cinici, il mancato guadagno.