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Dal cinema al “Blu”: la moda di Renato Balestra

La famigerata Pittura ricamo lo rese famoso negli anni Settanta. Ma la carriera di Renato Balestra, già un ventennio prima, aveva incrociato i fasti dell’alta moda al servizio della settima arte. Lo stilista triestino, morto a Roma a 98 anni, le sue firme iniziò a metterle già negli anni Cinquanta, dopo la formazione all’atelier Veneziani e le prime creazioni realizzate in un connubio fra dipinto e tessitura. La macchina cuce per le dive dell’Italia del Boom economico, da Gina Lollobrigida, che veste Balestra nel film da record La donna più bella del mondo, nel 1955. L’anno prima era toccato ad Ava Gardner, quello dopo a Sophia Loren. Primi approcci di successo a un mondo, quello del cinema, che per Balestra aveva rappresentato una passione tanto quanto moda e pittura. Non arrivano nemmeno i Sessanta e lo stilista è già a Hollywood, a creare abiti per Zsa Zsa Gabor e Linda Christian, per diventare poi designer di nomi come Liz Taylor e Claudia Cardinale.

Il Blu Balestra

Nel 1959 il primo atelier a Roma che porta il suo nome. Due anni dopo arriva la prima collezione, presentata alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. L’apprezzamento delle varie tonalità di blu lo portano a crearne una del tutto nuova, che diventerà il suo marchio di fabbrica. Senza nome, fin quando la stampa non ne nota la cadenza regolare nelle sfilate e la sua originalità, ribattezzandolo Blu Balestra. E le sue creazioni, a partire dagli anni Settanta, accompagnano la profonda rivoluzione sociale italiana, cucendo per le donne delle vesti che ne mettono in risalto la modernità e la forza di un cambiamento ormai inesorabile. Dipinge sui tessuti Renato Balestra, inserisce una linea maschile in una sfilata femminile, segnando una prima rivoluzione nel mondo dell’alta moda. Un percorso innovativo che sarà proseguito dalle figlie e dalla nipote, nelle mani delle quali passerà il marchio. Le esequie si svolgeranno martedì 29 novembre presso la Chiesa di Santa Maria del Popolo, a Roma. Chiesa degli artisti.

Damiano Mattana

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