“Leave or remain” “lasciare o restare”. Questo il quesito con cui 45 milioni di cittadini britannici si confronteranno nelle prossime ore. Dopo mesi di discussioni, aspri dibattiti e analisi per il Regno Unito arriva il giorno della verità sul Brexit. Comunque vada sarà un momento storico dal quale l’Europa uscirà profondamente cambiata. Se dovessero vincere i “sì” (attualmente attestati al 42%), il concetto di Ue sarà rivoluzionato. L’Unione perderebbe solidità diventando un’organizzazione non perpetua ma dalla quale si può uscire liberamente. Un precedente pericoloso in termini di stabilità politica ed economica. La vittoria del “no” sul fil di lana imporrebbe, invece, una riflessione profonda alle istituzioni comunitarie riguardo a cosa non abbia funzionato se uno degli Stati fondatori, il Regno Unito, è stato ad un passo dal dire addio al sogno europeo.
Di certo c’è che una eventuale affermazione del “sì” avrebbe effetti irreversibili. Sul punto il presidente della commissione europea, Jean Claude Juncker, è stato chiarissimo. “Voglio dire agli elettori britannici che non ci sarà nessun altro tipo di negoziato dopo quello già concluso a febbraio con l’Ue, dove il premier David Cameron ha ottenuto il massimo di quello che poteva avere e noi abbiamo concesso il massimo di quello che potevamo dare” ha spiegato. “E’ dall’inizio della campagna elettorale che difendo il punto di vista che abbiamo bisogno di un accordo giusto ed equo con la Gran Bretagna, ed è quello che abbiamo fatto”. L’auspicio di Bruxelles è il fallimento del Brexit, ma Juncker ha chiarito che l’Ue non giocherà alcun ruolo a riguardo.
Il dibattito, semmai, prosegue in Gran Bretagna e si trasforma nell’ennesimo duello a distanza tra il premier David Cameron e il nazionalista scozzese Nigel Farage, che dopo aver perso la battaglia per l’autonomia della sua terra spera di vincere quella per l’uscita dall’Europa dell’intero Regno. Per Farage quello del referendum sul Brexit è un “independence day” a prescindere dall’esito finale. Anche perché, garantisce, se dovesse prevalere il “no” a fare armi e bagagli sarebbero “Danimarca o Olanda”. Insomma l’Europa è morta, comunque la si metta. “Assurdo parlare d’indipendenza” ha tuonato il premier conservatore, rispondendo al rivale e all’ex sindaco di Londra Boris Johnson, pure lui schierato per il “leave”. Cameron ha poi rimarcato che sulla questione deve serenamente decidere il popolo britannico, che è “sovrano e questa consultazione lo dimostra”.
A preoccupare Bruxelles è soprattutto l’impatto economico che una eventuale uscita dall’Ue potrebbe provocare. Negli ultimi giorni, per la verità, le borse hanno iniziato a tirare il fiato, considerata la risalita del “remain” nei sondaggi. La sterlina è intanto in ripresa sull’euro, e in frenata sul dollaro, mentre i mercati recuperano a metà di una seduta poco ispirata e attendista, condizionata dalla vigilia del voto. Rimane in lieve calo solo Milano, che cede lo 0,08%. Brilla Francoforte, in rialzo dell’1,04%. Londra segna +0,66%, Parigi +0,73% e Madrid +0,59%. E se la stampa britannica sembra spaccata tra i “leave” (come The Daily Telegraph e The Sunday Times) e i “remain” (The Guardian e The Times), anche il mondo industriale appare diviso: 1.300 dirigenti britannici, inclusi gli amministratori delegati di 51 delle 100 compagnie più quotate dell’indice “footsie”, si appellano perché il voto sia contro la Brexit. Le piccole imprese invece uscirebbero volentieri dalla Ue.