Sequestrati mentre lavoravano per aiutare quei popoli che i loro rapitori sostengono di voler liberare dall’oppressione dei regimi “apostati e diabolici”. Sono quattro gli italiani finiti nel limbo delle prigioni degli estremisti jihadisti in diverse parti del mondo. Conclusasi da poco l’odissea dei due lavoratori italiani ostaggi in Libia, per altri si attende ancora un segnale di speranza. Sono più di due anni che non si hanno notizie del cooperante Giovanni Lo Porto: 38 anni sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012, insieme a un collega tedesco, a Qasim Bela, nel Punjab, dove lavorava per la ong tedesca Welt HungerHilfe (Aiuto alla fame nel mondo) alla ricostruzione dei villaggi dopo le inondazioni del 2011.
Lo scorso anno, il 29 luglio, è scomparso in Siria padre Paolo Dall’Oglio, 60 anni compiuti poco tempo fa. Gesuita romano, per trent’anni e fino alla sua espulsione, nell’estate 2012, voluta dal regime di Assad, ha vissuto e lavorato nel suo Paese d’adozione in nome del dialogo islamo-cristiano dove negli Anni Ottanta, aveva fondato la comunità monastica di Mar Musa. Padre Dall’Oglio è tornato in Siria clandestinamente per cercare di trattare la liberazione di due vescovi rapiti da un gruppo di ribelli anti Assad. La situazione è precipitata con il sopravvento delle milizie dell’Isis e di lui si sono perse le tracce a Raqqa. A tenere con il cuore in apprensione il popolo italiano, poi, dallo scorso luglio c’è anche il sequestro di due giovani volontarie italiane: nella notte tra il 31 luglio e il 1 agosto sono state rapite Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, impegnate in un progetto umanitario e catturate in Siria mentre erano ospiti di un gruppo di opposizione ad Assad.
La Farnesina e i servizi segreti italiani seguono le vicende con molta attenzione sondando tutti i canali possibili. I contatti con i sequestratori sono difficili perché spesso di tratta di gruppi diversi che si passano gli ostaggi. In alcuni casi, come in quello dei prigionieri dell’Esercito islamico dell’Iraq e del Levante, il gruppo di fuoco che opera materialmente il sequestro è spesso composto da una banda di criminali comuni pagata proprio per individuare e prendere prigionieri i cittadini occidentali. La liberazione avviene dopo il pagamento di un riscatto. E l’Italia è tra le nazioni che preferiscono trattare e pagare anche se i soldi finiscono nelle cassaforti di Al Qaeda e dei gruppi jihadisti come l’Isis. Dal 2008 Al Qaeda ha incassato 125 milioni di dollari ottenuti dalla Francia in ragione di 58,1 milioni, seguito dal Qatar con 20; 12,4 milioni di dollari sono stati versati dalla Svizzera, altri 11 dalla Spagna, dieci dall’Italia, l’Austria ne ha versati 3,2 per ridare la libertà a due suoi concittadini. A fare la parte del leone nel business dei rapimenti è Al Qaeda del Maghreb islamico che dal 2008 ha incassato 91,5 milioni. Cinque milioni è il guadagno ottenuto dal movimento jihadista somalo degli Shabab per rilasciare due spagnoli.
Al Qaeda della Penisola araba ha preso 20 milioni dal Qatar e Oman per liberare due ostaggi finlandesi, un austriaco e uno svizzero. Nel 2011 la Francia ha sborsato anche a questo gruppo 9,5 milioni per ottenere il rilascio di tre francesi. Per la liberazione dei tecnici italiani rapiti in Libia si parla di cifre intorno al milione di euro. Questa strategia è stata condannata da Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma non è vero che questi due Paesi sono sempre integerrimi nel seguire la linea dura. Il sergente Bowe Bergdahl, 28 anni, era l’unico militare americano nelle mani degli insorti afghani: la sua cattura risaliva al 30 giugno 2009. Nel maggio di quest’anno è stato rilasciato in cambio della liberazione di 5 detenuti di Guantanamo. Cinque personaggi di spicco della Rete Haqqani. Questo cambio di strategia è stato così giustificato dal presidente Obama: «Non lo abbiamo mai dimenticato, impegno ferreo nel riportare a casa i prigionieri di guerra». E i civili non sono da considerarsi “prigionieri di guerra” visto che operano in Paesi in conflitto e dove sono impegnati a favore delle popolazioni?
Del resto le strategie militari scelte dalla Gran Bretagna, per esempio, hanno solo provocato la morte degli ostaggi. L’8 marzo 2012 l’italiano Franco Lamolinara è rimasto ucciso durante un blitz condotto in Nigeria da un commando delle unità speciali dell’esercito britannico con le forze nigeriane nel tentativo di liberarlo dal gruppo islamico che lo aveva rapito. Nel corso del blitz è morto anche l’altro ostaggio, il britannico Chris McManus. Gli uomini della nostra intelligence e i funzionari della Farnesina hanno negli anni acquisito una profonda conoscenza nel gestire questo tipo di situazioni, riuscendo a portare in salvo i nostri connazionali. Anche a costo della propria vita come accadde a Nicola Calipari, funzionario del Sismi,durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena a Baghdad.