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PD: Renzi non tratta sul congresso, Dem a un passo dalla scissione

A Roma è in corso l’Assemblea del Partito Democratico, incontro convocato dal Segretario, Matteo Renzi, per aprire il congresso. Mille i delegati, provenienti da tutta Italia, stanno affollando l’Hotel Parco dei Principi, dove è in corso la manifestazione. “Sentiamo cosa dice il segretario e poi troviamo la strada migliore”, ha detto Michele Emiliano, governatore della Puglia, prima di entrare all’Assemblea. All’esterno, uno striscione: “Restiamo uniti”. E’ quanto chiedono i Giovani democratici del II Municipio di Roma, un appello a evitare la scissione con la minoranza.

Cuperlo: “Non è mai troppo tardi”

Anche il Premier, Paolo Gentiloni, è presente all’Assemblea. Alla domanda di alcuni giornalisti: “Oggi è l’ultima domenica per il Pd?”, Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana, risponde: “Non esageriamo. Ce ne saranno anche altre…”. Di tutt’altro parere Cuperlo, che al suo arrivo all’hotel dichiara: “Non mi pare ci siano stati grandi sussulti di ripensamento. Ma non dispero. Oggi faccio mia la frase del maestro Alberto Manzi: ‘Non è mai troppo tardi’”.

Renzi: “Non sono io a volere la rottura”

Ieri, dalla riunione della minoranza, che oggi guarda con apprensione l’Assemblea del Pd, erano giunti gli “ultimatum” dei tre sfidanti alla segreteria. Parole che hanno irrigidito Renzi, che ha dichiarato: “Non sono io a volere la rottura, siete voi che avete cambiato idea non perdendo occasione per demolire me e quanto fatto in questi anni, sarà il ragionamento del leader che, dopo aver ripetuto che il governo Gentiloni non ha scadenza, si dimetterà convocando il congresso subito per celebrare le primarie o il 9 aprile o, al massimo, il 7 maggio”.

La crisi del Pd

Data per scontata l’uscita di Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, Lorenzo Guerini, Dario Franceschini e Andrea Orlando provano a convincere l’area che fa capo a Michele Emiliano e ad Enrico Rossi. Ma tra i fedelissimi, cresce l’insofferenza contro i “ricatti” della minoranza e la linea trattativista che, come dice il consigliere economico di Renzi, Luigi Marattin, “fa tanto saggio ma non considera la realtà”. In altre parole: l’unico obiettivo della minoranza, secondo i renziani, è quello di liquidare l’ex Premier. Per tanto, nessuna mediazione basterebbe. Renzi, ieri, da Firenze, ha sentito tutti. Tuttavia è convinto di avere dalla sua i numeri dell’Assemblea, dove il 65 per cento dei componenti è della maggioranza dem.

Certo ribadirà, come già detto in direzione, ma per togliere ogni “alibi” alla minoranza, che il governo deve lavorare, non ha scadenza pur sottolineando l’incongruenza della sinistra interna che, quando Gentiloni si insediò dopo le dimissioni di Renzi, annunciò che avrebbe valutato l’attività del governo provvedimento per provvedimento. Ma d’altra parte, incalzerà l’ex premier, anche sul congresso è stata la sinistra a cambiare più volte idea, chiedendo prima di non farlo, poi di farlo e ora di rinviarlo a settembre.

Congresso Pd, tempi e modalità

L’art.9 dello Statuto del Pd indica i principi fondamentali in base ai quali si svolge il congresso che si articola in due fasi: prima la Convenzione, in cui votano gli iscritti del partito, e poi le primarie. Ma tutto l’iter è disciplinato da un regolamento che di volta in volta deve essere approvato dalla direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Secondo lo Statuto del Pd (art.5), il Congresso e le primarie si svolgono ogni quattro anni. Dunque, il prossimo dovrebbe tenersi in autunno, dato che il precedente ha avuto luogo tra settembre e dicembre 2013. Tuttavia, sono previsti diversi casi in cui congresso e primarie possono essere anticipati, tra i quali le dimissioni del segretario. Occorrerebbero dunque le dimissioni di Matteo Renzi da segretario del Pd, o una sfiducia nei suoi confronti da parte dell’Assemblea nazionale, per aprire sin da subito il congresso dem che sarebbe indetto, in base all’art.5 comma 2 dello Statuto, dal presidente del Pd, in questo caso Matteo Orfini.

Per essere ammesse alla prima fase del procedimento elettorale, le candidature a Segretario devono essere sottoscritte da almeno il 10% dei componenti dell’Assemblea nazionale uscente o da un numero di iscritti compreso tra i 1500 e duemila, distribuiti in non meno di cinque regioni. Risultano ammessi all’elezione del Segretario nazionale i tre candidati che abbiano ottenuto il consenso del maggior numero di iscritti purchè abbiano ottenuto almeno il 5% dei voti e, in ogni caso, quelli che abbiano ottenuto almeno il 15% dei voti in almeno cinque regioni o province autonome.

Fin qui i principi inderogabili, mentre i tempi dei vari passaggi sono stabiliti dal regolamento: nel 2013 si discusse per quasi un mese sulle regole e poi la direzione del 27 settembre approvo’ la road map che si concluse l’8 dicembre con le primarie. Entro l’11 ottobre si fisso’ il termine per depositare alla commissione nazionale le candidature alla segreteria con relative liste programmatiche. Si decise che in ciascun collegio poteva essere presentata una lista collegata a ciascun candidato da presentare entro il 25 novembre. Tra il 7 ed il 17 novembre si svolsero le riunioni dei circoli che elessero i propri rappresentati alla Convenzione provinciale che vanno a comporre la convenzione nazionale. La Convenzione nazionale si riuni’ il 24 novembre e determino’ i 3 candidati da ammettere alle primarie. Alle primarie votarono i tesserati e gli elettori che si dichiarano di riconoscere nella proposta politica del Pd e danno un contributo di 2 euro.

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