Qual è la situazione dei cattolici oggi in Pakistan?
“Stanno attraversando un momento molto difficile in quanto tutto il Pakistan sta affrontando un periodo di instabilità politica ed economica, di terrorismo ed estremismo. Soffrono molto, in quanto l’imposizione della filosofia radicale li considera in qualche modo spie dell’Occidente. Quando la popolazione pakistana ha visto – durante i bombardamenti americani – i bambini venire uccisi, ha abbinato questo fatto ai cristiani, pensando che ci sia un disegno per distruggere l’Islam in Pakistan e nel mondo”.
Com’ è cambiata la percezione che hanno i non cristiani dopo la testimonianza di suo fratello?
“Durante 28 anni di lavoro per promuovere il dialogo interreligioso in difesa dei perseguitati ha stabilito importanti collaborazioni, anche con i Fratelli Musulmani. Anche se lui è stato vittima di una ideologia fanatica ed estrema, in molti condividevano la sua filosofia. Per esempio quando Asia Bibi, una donna povera pakistana, fu accusata di blasfemia lui parlò con un suo amico musulmano, Salmaan Taseer governatore del Punjab, la regione più grande del Pakistan. Anche lui si è mosso per difendere questa donna ma è stato colpito da questi fanatici”.
“Lui era un vero cristiano che ha seguito Gesù fino in fondo sia nella fede – che lo ha portato al sacrificio della vita – sia aiutando i più deboli e i più poveri. La sua testimonianza è anche spirituale, lui lo riferisce tante volte che gli piacevano anche versetti della Bibbia dove Gesù dice “avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero in prigione e siete venuti a trovarmi”. Non lo conoscevo come ho fatto dopo il suo assassinio: quando sono stato ministro al suo posto ho scoperto che lui in Pakistan, in tutte le prigioni, aveva chiesto luoghi di preghiera e in alcune carceri aveva creato addirittura chiese importanti dove andava a celebrare la santa messa almeno una volta al mese”.
Come sta portando avanti il lavoro di Shahbaz?
“Prima che perdesse la vita non avevo nessuna intenzione di seguirlo in questa opera. Anzi: tante volte gli avevo chiesto lasciare il Pakistan perché rischiava la vita. Però quando sono andato lì e ho visto il lavoro che aveva fatto ho capito che era fondamentale portarlo avanti. Una cosa importante è testimoniare la nostra fede, non per dimostrare che noi cristiani siamo più bravi degli altri ma per il rispetto e la dignità dell’uomo che la nostra fede ci insegna. La promozione del dialogo e la relazione interreligiosa è un obiettivo da raggiungere”.
Come definirebbe il radicalismo islamico?
“Non credo sia una frangia pericolosa di una religione. Penso che sia una ideologia che per scopi personali usa la religione, perché la religione non ha nulla a che vedere con questo. Ho parlato spesso con imam importanti del Pakistan, ho incontrato leader religiosi della Turchia e dell’Egitto che dicono che questo non è Islam. Hanno portato esempi del loro profeta Maometto assicurando che lui era una persona che perdonava, che predicava la riconciliazione”.
“Questa è una bella domanda e anche complessa, perché c’è il fatto che c’è tanta gente che non segue la religione veramente; anche nei Paesi a maggioranza cristiana, i credenti non mostrano quel convincimento che noi pretendiamo. È importante in un contesto dove si uccide anche in nome della religione proporre una visione della vita che insegni la pace indipendentemente dal credo religioso di appartenenza. Spesso mi viene detto che il cristiano non deve fare politica, che la politica non fa parte della fede. Però se consideriamo la politica come “assistenza” agli altri, ai più deboli, per migliorare la situazione pacifica ed economica, allora ognuno di noi deve essere “politico””.