Un marchio di fabbrica, in senso letterale e figurato. La pasta è, in qualche modo, l’emblema stesso del Made in Italy. Un’espressione, questa, quasi inflazionata al giorno d’oggi, con tanto di Ministero incaricato di tutelarne la valenza a livello internazionale. Eppure, forse proprio per questo, non è mai stato così importante comprenderne la natura. Perché se l’Italia ha un impatto sulla scena internazionale, in larghissima parte lo si vede alla qualità stessa del Paese, in termini culturali e, nella fattispecie, di lavorazione peculiare. E se il turismo condensa in sé il giusto mix di elementi, lo deve in buona misura all’eccellenza gastronomica del nostro Paese, forse l’unico realmente in grado di coniugare alla perfezione fascino architettonico e raffinatezza culinaria.
Pasta ed export
È chiaro che, in questo senso, la pasta spicchi come elemento (oltre che alimento) di punta, nell’ambito di un mercato interno e anche sul fronte dell’export. Forse l’unico prodotto realmente in grado di fornire risposte sullo stato dell’esportazione (e della conseguente tutela) delle produzioni nostrane. Anche perché, il momento storico impone un’analisi attenta per differenziare ciò che effettivamente è stato prodotto da mani italiane da ciò che è semplice (ma potenzialmente destabilizzante) imitazione. Come spiegato da Unione Italiana Food, infatti, “la produzione mondiale di pasta è quasi raddoppiata. In 25 anni, è passata da 9 a 17 milioni di tonnellate”, per un totale di “40 Paesi che ne producono in quantità superiori alle 20 mila tonnellate”.
Il consumo pro-capite
Un mare di prodotto riversato sui mercati enogastronomici, dei quali l’Italia riveste ancora un ruolo di leader: “Un piatto di pasta su quattro mangiato nel mondo – 3 su 4 in Europa – è fatto con pasta italiana”. Inoltre, con una forchetta tra 52 e 30 chili in 25 anni, “sono quasi raddoppiati i Paesi dove si consuma più di 1 kg pro capite di pasta all’anno”. Anche in questo caso, l’Italia guida le classifiche, con un consumo “pro-capite di 23 chilogrammi, contro i 17 kg della Tunisia, seconda in questa speciale classifica”.
Il consumo parla italiano
Il dato però realmente positivo, come ricordato da Unione Italiana Food, è che il consumo globale parla sempre di più la lingua italiana: “Sono aumentati i Paesi destinatari (oggi quasi 200, +6,4%) ed è triplicata la quota export, passando da 740mila a 2,3 milioni di tonnellate (+4,5% sul 2021)“. Ovvero, il 62,7% della produzione totale. Questo significa che oltre metà della pasta prodotta nel nostro Paese viene esportata all’estero, sia in Europa (soprattutto Germania, Francia e Regno Unito) che negli altri continenti, con Stati Uniti e Giappone come Paesi ricettivi per eccellenza. Un successo che, di fatto, ha allargato anche la branca correlata della gastronomia trapiantata all’estero, con “una generazione di cuochi che guardano al futuro puntando su semplicità, genuinità e tradizioni glocal”, utilizzando proprio la pasta come collante culturale.
Pasta, risposta alle diete fai-da-te
Nondimeno, la considerazione sempre maggiore della pasta come alimento peculiare, ha fatto sì che l’eccellenza della produzione italiana spingesse anche in direzione della tutela salutistica, con l’inserimento della pasta in diete concertate dalla comunità scientifica. Una risposta alle gestioni alimentari “fai-da-te” e alla divulgazione, spessa errata, di informazioni circa le proprietà nutritive di un alimento portabandiera della nostra cultura.