“Sul volto di Giulio ho visto il male del mondo”. Non ha usato mezze parole Paola Regeni, madre del ricercatore italiano ucciso al Cairo il 25 gennaio, per descrivere l’orrore provato nel momento in cui è stata chiamata a riconoscere il corpo del figlio. “Non vi dico quello che gli hanno fatto – ha raccontato durante la conferenza stampa andata in scena a Palazzo Madama – l’ho potuto riconoscerlo solo dalla punta del naso”.
L’ultima foto di Giulio, ha raccontato la donna, risale a 10 giorni prima della scomparsa ed è proprio quella circolata centinaia di volte sui media, quella in cui si vede il giovane sorridente, con un maglione verde. “Il suo era un viso sorridente, con una sguardo aperto – ha detto Paola – e quella è una foto felice. Non si vede, ma sotto c’era un piatto di pesce, perché Giulio era con i suoi amici e sapeva anche divertirsi, non solo studiare”. Dopo quell’immagine, però, i genitori ne hanno dovuta vedere un’altra. “E’ un immagine che con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella di quando era felice. Il suo volto, come restituito dall’Egitto – ha spiegato Paola – era completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c’è un viso piccolo piccolo piccolo”.
Il dolore è tanto ma piangere, in questo momento, non si può. “Lo farò quando sapremo la verità” ha detto la signora Paola sottolineando che quanto avvenuto al suo Giulio non può essere considerato un caso isolato perché “gli stessi amici di Giulio, la parte amica dell’Egitto, ci hanno detto che lo hanno torturato e ucciso come un egiziano”. Il giovane, ha ribadito, “non era nei servizi segreti, non era in guerra, non era un giornalista”, si trovava al Cairo semplicemente per fare il suo lavoro. Il padre di Giulio, Claudio, ha ribadito la sua fiducia nelle istituzioni ma ha chiesto una risposta forte perché sinora la famiglia Regeni non ha mai avuto la sensazione che “l’Egitto voglia collaborare serenamente”.
A tal proposito il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti Umani di Palazzo Madama, nel corso della Conferenza ha indicato la strada da battere per spingere il Cairo a cooperare. Il governo dovrebbe “porre la questione del richiamo, non del ritiro, del nostro ambasciatore al Cairo per consultazioni. Un gesto non solo simbolico per far comprendere come il nostro Paese segue il caso”. Ed inoltre, ha aggiunto, “penso sia necessario considerare la revisione delle relazioni diplomatico-consolari tra i due paesi, mettendo in conto l’urgenza e l’ineludibilità di altri atti concreti da parte dell’Unità di crisi della Farnesina, che potrebbe dichiarare l’Egitto paese non sicuro”.