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Il Papa: “Razzismo un virus”. E all’Angelus: “Le mafie, strutture di peccato contrarie al Vangelo”

Due giornate importanti ricorrono quest’oggi, nella domenica in cui Papa Francesco recita la preghiera dell’Angelus dalla Biblioteca del Palazzo apostolico. Un messaggio diramato su Twitter, in occasione della Giornata per l’eliminazione della discriminazione razziale, nel quale definisce il razzismo “un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato”. Ricordando inoltre che “le espressioni di razzismo rinnovano in noi la vergogna dimostrando che i progressi della società non sono assicurati una volta per sempre”.

Il Papa: “Le mafie contrarie al Vangelo”

Ma anche un importante messaggio per la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, nel quale il Papa ribadisce come esse siano “presenti in varie parti del mondo e, sfruttando la pandemia, si stanno arricchendo con la corruzione. San Giovanni Paolo II denunciò la loro ‘cultura di morte’ e Benedetto XVI le condannò come ‘strade di morte’. Queste strutture di peccato, strutture mafiose, contrarie al Vangelo di Cristo, scambiano la fede con l’idolatria. Oggi facciamo memoria di tutte le vittime e rinnoviamo il nostro impegno contro le mafie.

Vedere Gesù

Parole importanti che non risuonano in Piazza San Pietro, ma che attraversano i cuori di ognuno. Soprattutto nella domenica in cui il passo evangelico ricorda l’episodio in cui alcuni greci espressero il desiderio di incontrare Gesù. “Nella richiesta di quei greci possiamo scorgere la domanda che tanti uomini e donne, di ogni luogo e di ogni tempo, rivolgono alla Chiesa e anche a ciascuno di noi: ‘Vogliamo vedere Gesù'”. La risposta avviene “in un modo che fa pensare”, spiega Papa Francesco: “Dice così: ‘E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. […] Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto'”.

Il segno della Croce

Parole che sembrano non rispondere alla domanda ma che, in realtà, vanno oltre: “Gesù infatti rivela che Lui, per ogni uomo che lo vuole cercare, è il seme nascosto pronto a morire per dare molto frutto. Come a dire: se volete conoscermi, se volete capirmi, guardate il chicco di grano che muore nel terreno, cioè guardate la croce”. Per questo viene da pensare al segno della croce, “diventato nei secoli l’emblema per eccellenza dei cristiani”. Il primo di avvicinamento anche per chi conosce poco il cristianesimo. “L’importante è che il segno sia coerente con il Vangelo: la croce non può che esprimere amore, servizio, dono di sé senza riserve: solo così essa è veramente l’“albero della vita”, della vita sovrabbondante”.

La responsabilità dei cristiani

In molti, anche oggi, magari senza dirlo vorrebbero “vedere Gesù”. E questo comporta una grande responsabilità per tutti i cristiani. “Anche noi dobbiamo rispondere con la testimonianza di una vita che si dona nel servizio, di una vita che prenda su di sé lo stile di Dio – vicinanza, compassione e tenerezza – e si dona nel servizio. Si tratta di seminare semi di amore non con parole che volano via, ma con esempi concreti, semplici e coraggiosi, non con condanne teoriche, ma con gesti di amore. Allora il Signore, con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido a causa di incomprensioni, difficoltà o persecuzioni, o pretese di legalismi o moralismi clericali“.

Damiano Mattana

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