Il Papa ricorda il piccolo Rayan: “Un popolo intero era lì per salvarlo”

Papa Francesco Angelus Rayan

Foto © Vatican Media

L’abitudine a leggere sui media “tante cose brutte, notizie brutte, incidenti”, non deve distoglierci dal cogliere quanto di buono si può rilevare nei comportamenti delle nostre società. Lo ricorda Papa Francesco durante l’Angelus domenicale, invitando a riflettere sulla tragedia del piccolo Rayan, avvenuta in Marocco. Come Alfredino Rampi, il piccolo è caduto in un pozzo, non riuscendo a sopravvivere dopo esserne rimasto prigioniero per oltre 100 ore. Eppure, spiega il Santo Padre, “tutto il popolo era lì, lavorando per salvare un bambino! Ce l’hanno messa tutta. Purtroppo non ce l’ha fatta. Ma quell’esempio, quelle fotografie di un popolo, lì, aspettando per salvare un bambino… Grazie a questo popolo per questa testimonianza”.

Il Papa: “La vita va custodita sempre”

La stessa di John, ragazzo ghanese del Monferrato che, dopo aver sofferto il dramma dell’emigrazione, ha patito un mortale cancro, esprimendo il desiderio di poter rivedere suo padre prima di morire. Cosa che ha fatto grazie all’aiuto dei suoi concittadini: “Questo ci fa vedere che oggi, in mezzo a tante brutte notizie, ci sono cose belle, ci sono dei ‘santi della porta accanto’“. Testimonianze che, nella Giornata della Vita, assumono un significato anche più profondo. L’appello del tema, “‘Custodire la vita’,  vale per tutti, specialmente per le categorie più deboli: gli anziani, i malati, e anche i bambini a cui si impedisce di nascere. Mi unisco ai Vescovi italiani nel promuovere la cultura della vita come risposta alla logica dello scarto e al calo demografico. Ogni vita va custodita, sempre”.

Due pericolosi tarli

Il ricordo del Papa arriva nel giorno in cui il Vangelo ricorda il momento in cui una folla si radunò attorno a Gesù, sulle rive del lago di Galilea. Lì, i pescatori lavavano le loro reti, delusi per la pesca infruttuosa. Egli però, salito sulla barca di Simone, “lo invita a prendere il largo e a gettare ancora le reti”. Un’esortazione a cui Pietro dà fiducia. Gesù sale sulla sua barca “per insegnare… Ogni giorno la barca della nostra vita lascia le rive di casa per inoltrarsi nel mare delle attività quotidiane; ogni giorno cerchiamo di ‘pescare al largo’, di coltivare sogni, di portare avanti progetti, di vivere l’amore nelle nostre relazioni“. Spesso, però, come Pietro torniamo con le reti vuote, delusi per un impegno non ripagato dai risultati. Un senso di sconfitta portato dalla delusione e dall’amarezza: “Due tarli pericolosissimi”.

Navigare nel mare della vita

Per questo il Signore sale sulla nostra barca: “Da lì vuole annunciare il Vangelo. Proprio quella barca vuota, simbolo delle nostre incapacità, diventa la ‘cattedra’ di Gesù, il pulpito da cui proclama la Parola”. Il Signore sceglie di salire sulla nostra barca quando “non abbiamo nulla da offrirgli; entrare nei nostri vuoti e riempirli con la sua presenza; servirsi della nostra povertà per annunciare la sua ricchezza, delle nostre miserie per proclamare la sua misericordia”. Dio, ricorda il Papa, “non vuole una nave da crociera, gli basta una povera barca ‘sgangherata’, purché lo accogliamo”. Lui è “il Dio della vicinanza, della compassione, della tenerezza, e non cerca perfezionismo: cerca accoglienza”. Pietro si stupisce, fa quello che Gesù gli chiede di fare, perché con lui “si naviga nel mare della vita senza paura, senza cedere alla delusione quando non si pesca nulla e senza arrendersi al ‘non c’è più niente da fare’. Sempre, nella vita personale come in quella della Chiesa e della società, c’è qualcosa di bello e di coraggioso che si può fare, sempre”.

Damiano Mattana: