Vicinanza. E’ la parola che Papa Francesco invoca nella prima domenica d’Avvento, nella Santa Messa coi cardinali creati nell’ultimo Concistoro. L’Avvento, infatti, “è il tempo in cui fare memoria della vicinanza di Dio, che è sceso verso di noi… ‘O Dio, vieni a salvarmi’ è spesso l’inizio della nostra preghiera: il primo passo della fede è dire al Signore che abbiamo bisogno di Lui, della sua vicinanza”. E riconoscere Dio vicino, dirgli “avvicinati ancora”, è anche il primo messaggio da rivolgere all’inizio di questo periodo. Gesù “è venuto tra noi e verrà di nuovo alla fine dei tempi. Ma, ci chiediamo, a che cosa servono queste venute se non viene oggi nella nostra vita? Invitiamolo. Facciamo nostra l’invocazione tipica dell’Avvento: ‘Vieni, Signore Gesù'”. Un’invocazione che possiamo dire “all’inizio di ogni giornata e ripeterla spesso, prima degli incontri, dello studio, del lavoro e delle decisioni da prendere, nei momenti più importanti e in quelli di prova… Una piccola preghiera, ma nasce dal cuore“.
Vivere nella speranza
E’ invocando la sua vicinanza che si allena la nostra vigilanza. Nel passo evangelico odierno, Gesù ripete per quattro volte la parola “vegliate”. E l’importanza di rimanere vigili si confà alla necessità di non perdersi “in mille cose” senza “accorgersi di Dio”. “Attratti dai nostri interessi – ricorda il Santo Padre – e distratti da tante vanità, rischiamo di smarrire l’essenziale”. E vegliare vuol dire che la notte è ancora nel suo corso e che viviamo “nell’attesa del giorno, tra oscurità e fatiche. Il giorno arriverà quando saremo con il Signore”. Vigilare è “non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, e questo si chiama vivere nella speranza. Come prima di nascere siamo stati attesi da chi ci amava, ora siamo attesi dall’Amore in persona. E se siamo attesi in Cielo, perché vivere di pretese terrene? Perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei ‘padrini’ per avere una promozione e andare su, promuoverci nella carriera? Tutto passa”.
Il sonno della mediocrità
“Stare svegli”, spiega Papa Francesco, “è una cosa molto difficile: di notte viene naturale dormire”. Gli apostoli stessi non vegliarono nella notte che precedette la Passione. E anche “su di noi può scendere lo stesso torpore. C’è un sonno pericoloso: il sonno della mediocrità. Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede, perché la fede è il contrario della mediocrità: è desiderio ardente di Dio, è audacia continua di convertirsi, è coraggio di amare, è andare sempre avanti”. La fede, infatti, “non è acqua che spegne, è fuoco che brucia… E’ una storia d’amore per chi è innamorato! Per questo Gesù detesta più di ogni cosa la tiepidezza. Si vede il disprezzo di Dio per i tiepidi”.
La vigilanza della carità
La vigilanza della preghiera è la soluzione per ridestarsi dal sonno della mediocrità. La preghiera “ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza”. Per questo c’è bisogno di cristiani vigili, “che veglino per chi dorme” e contribuiscano a sconfiggere “la mediocrità, la tiepidezza”. E anche a contrastare un altro sonno interiore, quello dell’indifferenza. “Chi è indifferente vede tutto uguale, come di notte, e non s’interessa di chi gli sta vicino”. E “come ridestarci da questo sonno dell’indifferenza? Con la vigilanza della carità… La carità è il cuore pulsante del cristiano”. È infatti “con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore”.