Papa Francesco: “Siete il seme per una crescita fertile e rigogliosa di un nuovo Sud Sudan”

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Questo pomeriggio, il Santo Padre Francesco lascia la Nunziatura Apostolica e si trasferisce in auto alla Freedom Hall dove incontra gli sfollati interni. Dopo il canto d’apertura e la preghiera iniziale del Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields, ha luogo una breve presentazione dei gruppi presenti. Quindi, dopo la proiezione di un video con commento della Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale nella Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan, Coordinatrice Residente e Umanitaria per il Sud Sudan, Sara Beysolow Nyanti, un bambino del Campo Bentiu, un bambino del Campo Malakal e una bambina del Campo Giuba portano le loro testimonianze. Poi, dopo la preghiera all’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, il Papa pronuncia il Suo discorso. Al termine, dopo la benedizione dei tre leaders religiosi e l’esecuzione di una danza tradizionale, Papa Francesco si trasferisce in auto al Mausoleo “John Garang” per la Preghiera Ecumenica.

Il discorso

“Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!  Vi ringrazio per le preghiere, per le testimonianze e per il vostro canto! Ho pensato a voi a lungo, portando nel cuore il desiderio di incontrarvi, di guardarvi negli occhi, di stringervi le mani e di abbracciarvi: finalmente sono qui, insieme ai fratelli con cui condivido questo pellegrinaggio di pace, per dirvi tutta la mia vicinanza, tutto il mio affetto. Sono con voi, soffro per voi e con voi. Joseph, hai posto una domanda decisiva: «Perché stiamo a soffrire nel campo per sfollati?». Perché…Perché tanti bambini e giovani come te stanno lì, anziché a scuola a studiare o in un bel posto all’aperto a giocare? Tu stesso ci hai dato la risposta, dicendo che è «a causa dei conflitti in corso nel Paese». È proprio a motivo delle devastazioni prodotte dalla violenza umana, oltre che per
quelle causate dalle inondazioni, che milioni di nostri fratelli e sorelle come voi, tra cui tantissime mamme con i bambini, hanno dovuto lasciare le loro terre e abbandonare i loro villaggi, le loro case. Purtroppo in questo martoriato Paese essere sfollato o rifugiato è diventata un’esperienza consueta e collettiva. Rinnovo perciò con tutte le forze il più accorato appello a far cessare ogni conflitto, a riprendere seriamente il processo di pace perché abbiano fine le violenze e la gente possa tornare a vivere in modo degno. Solo con la pace, la stabilità e la giustizia potranno esserci sviluppo e reintegrazione sociale. Ma non si può più attendere: un numero enorme di bambini nati in questi anni ha conosciuto soltanto la realtà dei campi per sfollati, dimenticando l’aria di casa, perdendo il legame
con la propria terra di origine, con le radici, con le tradizioni. Il futuro non può essere nei campi per sfollati. C’è bisogno, proprio come chiedevi tu, Johnson, che tutti i ragazzi come te abbiano la possibilità di andare a scuola e pure lo spazio per giocare a calcio! C’è bisogno di crescere come società aperta, mischiandosi, formando un unico popolo attraverso le sfide dell’integrazione, anche imparando le lingue parlate in tutto il Paese e non solo nella propria etnia. C’è bisogno di abbracciare il rischio stupendo di conoscere e accogliere chi è
diverso, per ritrovare la bellezza di una fraternità riconciliata e sperimentare l’avventura impagabile di costruire liberamente il proprio avvenire insieme a quello dell’intera comunità. E c’è assoluto bisogno di evitare la marginalizzazione dei gruppi e la ghettizzazione degli esseri umani. Ma per tutti questi bisogni c’è bisogno di pace. E dell’aiuto di tanti, di tutti. Perciò vorrei ringraziare la Vice Rappresentante speciale Sara Beysolow Nyanti per averci detto che oggi è l’occasione per tutti di vedere quello che da anni sta accadendo in questo Paese. Qui infatti perdura la più grande crisi di rifugiati del Continente, con almeno quattro milioni di figli di questa terra sfollati, con l’insicurezza alimentare e la malnutrizione che colpiscono i due terzi della popolazione e con le previsioni che parlano di una tragedia umanitaria che può peggiorare ulteriormente nel corso dell’anno. Ma vorrei ringraziarla soprattutto perché lei e molti altri non sono rimasti fermi a studiare la situazione, ma si sono dati da fare. Lei, Signora, ha percorso il Paese, ha guardato negli occhi le madri assistendo al dolore che provano per la situazione dei figli; mi ha colpito quando ha affermato che, nonostante tutto quello che soffrono, non si sono mai spenti sui loro volti il sorriso e la speranza. E condivido quanto ha detto su di loro: le madri, le donne sono la chiave per trasformare il Paese: se riceveranno le giuste opportunità, attraverso la loro laboriosità e la loro attitudine a custodire la vita, avranno la capacità di cambiare il volto del Sud Sudan, di dargli uno sviluppo sereno e coeso! Ma, vi prego, prego tutti gli abitanti di queste terre: la donna sia protetta, rispettata, valorizzata e onorata. Per favore: proteggere, rispettare, valorizzare e onorare ogni donna, bambina, ragazza,
giovane, adulta, madre, nonna. Senza questo non ci sarà futuro. E ora, fratelli e sorelle, guardo ancora a voi, ai vostri occhi stanchi ma luminosi che non hanno smarrito la speranza, alle vostre labbra che non hanno perso la forza di pregare e di cantare; a voi che
avete le mani vuote ma il cuore pieno di fede, a voi che portate dentro un passato segnato dal dolore ma non smettete di sognare un avvenire migliore. Noi oggi, incontrandovi, vorremmo dare ali alla vostra speranza. Ci crediamo, crediamo che ora, anche nei campi per sfollati, dove la situazione del Paese vi costringe purtroppo a stare, può nascere, come dalla terra spoglia, un seme nuovo che porterà frutto. Vorrei dirvi: siete voi il seme di un nuovo Sud Sudan, il seme per una crescita fertile e rigogliosa del Paese. Siete voi, di tutte le diverse etnie, voi che avete patito e state soffrendo, ma che non volete rispondere al male con altro male. Voi, che fin d’ora scegliete la fraternità e il perdono, state coltivando un domani migliore. Un domani che nasce oggi, lì dove siete, dalla capacità di collaborare, di tessere trame di comunione e percorsi di riconciliazione con chi, diverso da voi per etnia e provenienza, vi vive accanto. Siate semi di speranza, nei quali già s’intravede l’albero che un giorno, speriamo vicino, porterà frutto. Sì, sarete voi gli alberi che assorbiranno l’inquinamento di anni di violenze e restituiranno l’ossigeno della fraternità. È vero, ora siete “piantati” dove non volete, ma proprio in questa situazione di disagio e precarietà potete tendere la mano a chi vi è accanto e sperimentare che siete radicati nella stessa umanità: da qui bisogna ripartire per riscoprirsi fratelli e sorelle, figli in terra del Dio del cielo, Padre di tutti. Carissimi, a ricordarci che una pianta nasce da un seme sono le radici. È bello che qui la gente tenga molto alle radici. Ho letto che in queste terre «le radici non vanno mai dimenticate», perché «gli antenati ci ricordano chi siamo e quale dev’essere la nostra strada…Senza di loro siamo perduti, impauriti e senza bussola. Non c’è futuro, senza passato» (C. CARLASSARE, La capanna di Padre Carlo. Comboniano tra i Nuer, 2020, 65). In Sud Sudan i giovani crescono facendo tesoro dei racconti degli anziani e, se la narrativa di questi anni è stata caratterizzata dalla violenza, è possibile, anzi, è necessario inaugurarne, a partire da voi, una nuova: una nuova narrativa dell’incontro, dove quanto
si è patito non sia dimenticato, ma venga abitato dalla luce della fraternità; una narrativa che metta al centro non solo la tragicità della cronaca, ma il desiderio ardente della pace. Siate voi, giovani di etnie diverse, le prime pagine di questa narrativa! Se i conflitti, le violenze e gli odi hanno strappato via dai buoni ricordi le prime pagine di vita di questa Repubblica, siate voi a riscriverne la storia di pace! Io vi ringrazio per la vostra forza d’animo e per tutti i vostri gesti di bene, che sono tanto graditi a Dio e rendono prezioso ogni giorno che vivete. Vorrei rivolgere una parola grata anche a quanti vi aiutano, spesso in condizioni non solo difficili, ma emergenziali. Grazie alle comunità ecclesiali per le loro opere, che meritano di essere sostenute, ai missionari, alle organizzazioni umanitarie e internazionali, in particolare alle Nazioni Unite per il grande lavoro che svolgono. Certo, un Paese non può sopravvivere di sostegni esterni, per lo più avendo un territorio tanto ricco di risorse! Ma ora sono estremamente necessari. Vorrei anche onorare i tanti operatori umanitari che hanno perso la vita, ed esortare al rispetto per chi aiuta e per le strutture di sostegno alla popolazione, che non possono diventare obiettivi di assalti e vandalismi. Accanto ai soccorsi urgenti, credo sia molto importante, in prospettiva futura, accompagnare la popolazione sulla via dello sviluppo, ad esempio aiutandola ad apprendere tecniche aggiornate per l’agricoltura e l’allevamento, così da facilitare una crescita più autonoma. A tutti chiedo con il cuore in mano: soccorriamo il Sud Sudan, non lasciamo sola la sua popolazione, che tanto ha sofferto e soffre! In conclusione, desidero rivolgere un pensiero ai tanti rifugiati sud sudanesi che stanno fuori dal Paese e a quanti non possono rientrare perché il loro territorio è stato occupato. Sono loro vicino e auspico che possano tornare a essere protagonisti del futuro della loro terra, contribuendo al suo sviluppo in modo costruttivo e pacifico. Nyakuor Rebecca, mi hai chiesto una benedizione speciale
per i bambini del Sud Sudan, proprio perché possiate crescere tutti insieme nella pace. La benedizione sarà davvero speciale, perché la darò insieme ai miei fratelli Justin e Iain. Con essa, vi raggiunga la benedizione di tanti fratelli e sorelle cristiani nel mondo, che vi abbracciano e vi incoraggiano, sapendo che in voi, nella vostra fede, nella vostra forza interiore, nei vostri sogni di pace risplende tutta la bellezza dell’essere umano”.

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