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Papa Francesco: “Siate apostoli come Pietro e Paolo”

Papa Francesco ha benedetto i Palli e presieduto la celebrazione eucaristica in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo

La Chiesa oggi celebra la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Papa Francesco benedice i Palli, presi dalla Confessione dell’apostolo Pietro e destinati agli Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’anno. Il Pallio verrà imposto a ciascun Arcivescovo Metropolita dal Rappresentante Pontificio nella rispettiva Sede Metropolitana. Il Santo Padre presiede la celebrazione eucaristica. Presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli guidata da Sua Eminenza Job, Arcivescovo Metropolita di Pissidia. L’Arcivescovo Job è accompagnato da Sua Grazia Athenagoras, Segretario del Santo Sinodo Eparchiale dell’Arcidiocesi di America, e dal Rev.do Kallinikos Chasapis, Diacono. Riportiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da Papa Francesco.

Il testo integrale dell’omelia di Papa Francesco

Festeggiamo Pietro e Paolo, due Apostoli innamorati del Signore, due colonne della fede della Chiesa. E mentre contempliamo la loro vita, il Vangelo oggi ci viene incontro con la domanda che Gesù rivolge ai suoi: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Questa è la domanda fondamentale, la più importante: chi è Gesù per me? Chi è Gesù nella mia vita? Vediamo come hanno risposto a questo interrogativo i due Apostoli. La risposta di Pietro si potrebbe sintetizzare con una parola: sequela. Pietro ha vissuto nella sequela del Signore. Quando quel giorno, a Cesarea di Filippo, Gesù interrogò i discepoli, Pietro rispose con una bella professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Una risposta impeccabile, precisa, puntuale, potremmo dire una perfetta risposta “da catechismo”. Ma quella risposta è frutto di un cammino: solo dopo aver vissuto l’affascinante avventura di seguire il Signore, dopo aver camminato con Lui e dietro a Lui per tanto tempo, Pietro arriva a quella maturità spirituale che lo porta, per grazia, a una professione di fede così limpida.

Lo stesso evangelista Matteo, infatti, ci racconta che tutto era iniziato un giorno quando, lungo il mare di Galilea, Gesù era passato e lo aveva chiamato, insieme a suo fratello Andrea, «ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono» (Mt 4,20). Ha lasciato tutto, Pietro, per mettersi alla sequela del Signore. E il Vangelo sottolinea “subito”: Pietro non disse a Gesù che ci avrebbe pensato, non fece calcoli per vedere se gli convenisse, non accampò alibi per rimandare la decisione, ma lasciò le reti e lo seguì, senza chiedere in anticipo nessuna sicurezza. Avrebbe scoperto tutto di giorno in giorno, nella sequela, seguendo Gesù e camminando dietro a Lui. E non a caso le ultime parole riportate dai Vangeli che Gesù gli rivolge sono: «Tu seguimi» (Gv 21,22). Pietro, dunque, ci dice che alla domanda “chi è Gesù per me?” non basta rispondere con una formula dottrinale impeccabile e nemmeno con un’idea che ci siamo fatti una volta per tutte. No. È mettendoci alla sequela del Signore che impariamo ogni giorno a conoscerlo; è diventando suoi discepoli e accogliendo la sua Parola che diventiamo suoi amici e facciamo l’esperienza del suo amore che ci trasforma. Anche per noi risuona quel “subito”: se possiamo rimandare tante cose nella vita, la sequela di Gesù non può essere rimandata; lì non si può esitare, non possiamo accampare scuse. E attenzione, perché alcune scuse sono travestite di spiritualità, come quando diciamo “non sono degno”, “non sono capace”, “cosa posso fare io?”. Questa è un’astuzia del diavolo, che ci ruba la fiducia nella grazia di Dio, facendoci credere che tutto dipenda dalle nostre capacità.

Distaccarci dalle nostre sicurezze terrene, subito, e seguire Gesù ogni giorno: ecco la consegna che Pietro ci fa oggi, invitandoci a essere Chiesa-in-sequela. Chiesa che desidera essere discepola del Signore e umile ancella del Vangelo. Solo così sarà capace di dialogare con tutti e diventare luogo di accompagnamento, di vicinanza e di speranza per le donne e gli uomini del nostro tempo. Solo così, anche chi è più lontano e spesso ci guarda con diffidenza o indifferenza potrà finalmente riconoscere, con Papa Benedetto: «La Chiesa è il luogo d’incontro con il Figlio del Dio vivente e così è il luogo d’incontro tra di noi» (Omelia nella II Domenica di Avvento, 10 dicembre 2006).
E veniamo all’Apostolo delle genti. Se la risposta di Pietro consisteva nella sequela, quella di Paolo è l’annuncio, l’annuncio del Vangelo. Anche per lui tutto iniziò per grazia, con l’iniziativa del Signore. Sulla via di Damasco, mentre portava avanti con fierezza la persecuzione dei cristiani, barricato nelle sue convinzioni religiose, gli venne incontro Gesù risorto e lo accecò con la sua luce, o meglio, grazie a quella luce Saulo si rese conto di quanto fosse cieco: chiuso nell’orgoglio della sua rigida osservanza, scopre in Gesù il compimento del mistero della salvezza. E, rispetto alla sublimità della conoscenza di Cristo, d’ora in poi considera tutte le sue sicurezze umane e religiose come “spazzatura” (cfr Fil 3,7-8). Così Paolo dedica la vita a percorrere terra e mare, città e villaggi, non curandosi di soffrire stenti e persecuzioni pur di annunciare Gesù Cristo. Guardando alla sua storia, sembra quasi che, più egli annuncia il Vangelo, più conosce Gesù. L’annuncio della Parola agli altri permette anche a lui di penetrare le profondità del mistero di Dio; lui, Paolo, che scrisse: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16); lui che confessa: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21).
Paolo, dunque, ci dice che alla domanda “chi è Gesù per me?” non si risponde con una religiosità intimista, che ci lascia tranquilli senza scalfirci con l’inquietudine di portare il Vangelo agli altri. L’Apostolo ci insegna che cresciamo nella fede e nella conoscenza del mistero di Cristo quanto più siamo suoi annunciatori e testimoni. Questo succede sempre: quando evangelizziamo, restiamo evangelizzati. La Parola che portiamo agli altri torna a noi, perché nella misura in cui doniamo riceviamo molto di più (cfr Lc 6,38).

Questo è necessario anche alla Chiesa oggi: mettere l’annuncio al centro. Essere una Chiesa che non si stanca di ripetersi: “per me il vivere è Cristo” e “guai a me se non annuncio il Vangelo”. Una Chiesa che ha bisogno di annunciare come dell’ossigeno per respirare, che non può vivere senza trasmettere l’abbraccio dell’amore di Dio e la gioia del Vangelo.

Fratelli e sorelle, festeggiamo Pietro e Paolo. Essi hanno risposto alla domanda fondamentale della vita – chi è Gesù per me? – vivendo la sequela e annunciando il Vangelo. È bello crescere come Chiesa della sequela, come Chiesa umile che non dà mai per scontata la ricerca del Signore. È bello se diventiamo una Chiesa al tempo stesso estroversa, che non trova la sua gioia nelle cose del mondo, ma nell’annuncio del Vangelo al mondo, per seminare nei cuori delle persone la domanda su Dio. Portare ovunque, con umiltà e gioia, il Signore Gesù: nella nostra città di Roma, nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nei quartieri, nella società civile, nella Chiesa, nella politica, nel mondo intero, specialmente là dove si annidano povertà, degrado, emarginazione.

E, oggi, mentre alcuni nostri fratelli Arcivescovi ricevono il Pallio, segno della comunione con la Chiesa di Roma, vorrei dire loro: siate apostoli come Pietro e Paolo. Siate discepoli nella sequela e apostoli nell’annuncio, portate la bellezza del Vangelo ovunque, insieme a tutto il Popolo di Dio. E infine, desidero rivolgere il mio saluto affettuoso alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico, qui inviata dal carissimo Fratello Sua Santità Bartolomeo. Grazie per la vostra presenza: andiamo avanti insieme, nella sequela e nell’annuncio della Parola, crescendo nella fraternità. Pietro e Paolo ci accompagnino e intercedano per noi”.

Dal bollettino della Sala Stampa Vaticana

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