Questa mattina, Papa Francesco si è recato al Memoriale di Tzitzernakaberd, la così detta “fortezza delle rondini” per rendere omaggio alle vittime del genocidio armeno, il primo tragico evento che ha inaugurato la spirale di violenze del XX secolo. Il Santo Padre e Sua Santità Karekin II, Catholicos della chiesa apostolica armena, sono accolti dal presidente Serzh Sargsyan. Il Pontefice ha quindi deposto una corona di fiori all’esterno del monumento, dov’era presente un gruppo di bambini con dei cartelli sui quali sono incisi i volti dei martiri del 1915.
Davanti alla fiamma perenne, i presenti hanno pregato insieme il Padre Nostro, ognuno nella propria lingua. Quindi il Papa e il Catholicos hanno benedetto dell’incenso. Una breve cerimonia liturgica, scandita da canti e letture, in armeno e in italiano, ha fatto da cornice alla preghiera d’intercessione recitata da Bergoglio: “Cristo, che incoroni i tuoi santi e adempi la volontà dei tuoi fedeli e guardi con amore e dolcezza alle tue creature, ascoltaci dai cieli della tua santità, per l’intercessione della santa Genitrice di Dio, per le suppliche di tutti i tuoi santi, e di quelli di cui oggi è la memoria. Ascoltaci, Signore, e abbi pietà, perdonaci, espia e rimetti i nostri peccati. Rendici degni di glorificarti, con sentimenti di grazie, insieme al Padre e allo Spirito santo, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen”. Per la seconda volta ecco la recita del Padre Nostro, ognuno nella propria lingua. Quindi, lungo il percorso verso il giardino, prima dell’incontro con i discendenti dei sopravvissuti del “grande male”, gli stessi ospitati da Benedetto XV nella residenza di Castel Gandolfo, Papa Francesco ha benedetto e innaffiato un albero a memoria della visita.
Prima di congedarsi, la firma del Libro d’Onore: “Qui prego, col dolore nel cuore, perché non vi siano più tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi, sappia vincere con il bene il male. Dio conceda all’amato popolo armeno e al mondo intero pace e consolazione. Dio custodisca la memoria del popolo armeno, la memoria non va annacquata né dimenticata, la memoria è fonte di pace e di futuro”.
Un gesto forte, quello del pontefice, che circa una settimana fa, incontrando la comunità di Villa Nazareth, a Roma, disse: “La tragedia delle comunità cristiane sparse nel mondo: questo è vero. Ma è il destino dei cristiani: la testimonianza fino a situazioni difficili. A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, quando si parla di un genocidio dei cristiani, per esempio nel Medio Oriente: questo è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio”.
Queste parole fecero pensare, in un primo momento, che durante questo viaggio in Armenia non avrebbe mai usato la parola genocidio. Quando la usò nell’aprile del 2015, in occasione della celebrazione in San Pietro in memoria delle vittime del “Grande Male”, così come lo stesso Pontefice l’ha ribattezzato, Bergoglio fece sua una citazione contenuta nella dichiarazione congiunta firmata nel 2001 da Giovanni Paolo II e dal Catholicos Karekin II. Tuttavia, il termine genocidio, pronunciato in quell’occasione provocò un’aspra reazione della Turchia, tanto che quest’ultima richiamò in patria l’ambasciatore accreditato in Vaticano. Solo quest’anno la crisi diplomatica tra Santa Sede e Turchia si è risolta. E in effetti i testi preparati per i primi due discorsi (il saluto nella cattedrale di Etchmiadzin e quello alle autorità politiche) non contenevano la parola genocidio.
A sorpresa, nel leggere il discorso dinanzi al presidente armeno e alle autorità, Francesco l’ha aggiunta a braccio. Nel ricordare quel “grande male”, dove morirono un milione e mezzo di armeni, ha detto: “Quella tragedia, quel genocidio inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. È tanto triste sia in questo armeno come negli altri due – ha aggiunto ancora braccio, riferendosi implicitamente alla Shoah e alle vittime dei totalitarismi del XX secolo – le grandi potenze internazionali guardavano da un’altra parte”. Papa Francesco, certamente, non ama che si applichi quel termine alle attuali persecuzioni dei cristiani, che al contrario sono un martirio. La considera adeguata per definire i massacri di impressionanti proporzioni come quello avvenuto in Armenia nel 1915