Sul volo a bordo di un A320neo dell’Aegean che lo riporta in Italia dopo il viaggio apostolico che dal 2 al 6 dicembre lo ha portato a Cipro e in Grecia, Papa Francesco ha risposto alle domande dei giornalisti presenti, come si legge nell’intervista pubblicata da Vatican News – che riportiamo integralmente.
Vatican Media
Costandinos Tsindas (CYBC):
Sua Santità, le sue forti osservazioni sul dialogo interreligioso sia a Cipro che in Grecia hanno suscitato a livello internazionale aspettative stimolanti. Dicono che chiedere scusa sia la cosa più difficile da fare. Lei lo ha fatto in modo “spettacolare. Insieme con il patriarca ecumenico Bartolomeo, ha chiesto a tutti i cristiani di celebrare nel 2025 i 17 secoli dal primo Sinodo ecumenico di Nicea. Quali sono i passi avanti in questo processo?
“Ho chiesto scusa, ho chiesto scusa davanti a Ieronymus, mio fratello Ieronymus, ho chiesto a scusa per tutte le divisioni che ci sono fra i cristiani, ma soprattutto (per) quelle che noi abbiamo provocato: i cattolici. Anche ho voluto chiedere scusa, guardando alla guerra per l’indipendenza – Ieronymus me lo ha segnalato – una parte dei cattolici si sono schierati con i governi europei perché non si facesse l’indipendenza greca. Invece nelle isole, i cattolici delle isole, hanno sostenuto l’indipendenza, anche sono andati in guerra, alcuni hanno dato la vita per la patria. Ma il centro – diciamo così – in quel momento era schierato sull’Europa. E anche il chiedere scusa per lo scandalo della divisione, almeno per quello di cui noi abbiamo la colpa. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono, e quando non chiediamo perdono a Dio, difficilmente lo chiederemo ai fratelli. È più difficile chiedere perdono a un fratello che a Dio, perché noi sappiamo che lì dice: “Sì, vai vai vai, sei perdonato”. Invece, con i fratelli c’è la vergogna, e l’umiliazione. Ma nel mondo di oggi ci vuole l’atteggiamento dell’umiliazione e del chiedere scusa. E anche un’ultima scusa – questa mi è venuta dal cuore – scusa per lo scandalo del dramma dei migranti, per lo scandalo di tante vite annegate nel mare, e così. Sull’aspetto sinodale: sì, siamo un unico gregge. Fare questa divisione – clero e laici – è funzionale ma c’è un unico gregge. E la dinamica tra le differenze dentro la Chiesa è la sinodalità: cioè ascoltarsi l’uno con l’altro, e andare insieme. Syn odòs: fare strada insieme. Questo è il senso della sinodalità: che le vostre Chiese ortodosse, anche le Chiese cattoliche orientali, hanno conservato questo. Invece la Chiesa latina si era dimenticata del Sinodo, ed è stato San Paolo VI a rinstaurare il cammino sinodale 54, 56 anni fa. E stiamo facendo un cammino per avere l’abitudine della sinodalità, del camminare insieme”.
Infine, la questione del documento dell’Unione europea sul Natale…
“Un anacronismo. Nella storia tanti, tante dittature hanno cercato di farla, è una moda di una laicità annacquata, acqua distillata. E’ una cosa che non funzionò durante la storia. Ma mi fa pensare a una cosa che credo sia necessaria: l’Unione europea deve prendere in mano gli ideali dei Padri fondatori, che erano ideali di unità, di grandezza, e stare attenta a non fare strada a delle colonizzazioni ideologiche. L’Unione europea deve rispettare ogni Paese come è strutturato dentro. La varietà dei Paesi, e non volere uniformare. Io credo che non lo farà, non era sua intenzione, ma stare attenta. Unione europea: sovranità sua, sovranità dei fratelli in una unità che rispetta la singolarità di ogni Paese”.
Iliana Magra (Kathimerini):
Santo Padre, nel palazzo presidenziale di Atene ha parlato del fatto che la democrazia si sta come ritirando in particolare in Europa, a qualche nazione si stava riferendo? Cosa direbbe a quei leaders che si professano devoti cristiani ma poi al tempo stesso promuovono valori e politiche non democratiche?
“La democrazia è un tesoro di civiltà e va custodito non solo da una entità superiore ma dai paesi stessi. Custodire la democrazia altrui. Io oggi, forse, vedo due pericoli contro la democrazia: uno è quello dei populismi, che cominciano a far vedere le unghie. Un grande populismo del secolo scorso, il nazismo, è stato un populismo che difendendo i valori nazionali – così diceva – è riuscito ad annientare la vita democratica, anzi la vita stessa con la morte della gente, a diventare una dittatura cruenta. Oggi dirò stiamo attenti che i governi non scivolino su questa strada dei cosiddetti politicamente “populismi”, che niente hanno a che vedere con i popolarismi che sono l’espressione libera dei popoli, che si mostrano con la loro identità, il loro folklore, i loro valori, l’arte. Né cadere in un annacquare le proprie identità in un governo internazionale. Su questo c’è un romanzo scritto nel 1903 scritto da Benson, uno scrittore inglese, Il padrone del mondo, che sogna un futuro in cui un governo internazionale con le misure economiche e politiche governa tutti gli altri paesi e quando si hanno questi tipi di governo, spiega, si perde la libertà. Questo è quello che mi viene in mente. Ma io non sono un politico di scienza, io parlo dicendo quello che mi sembra”.
Manuel Schwarz (DPA)
La migrazione non è tema centrale solo nel Mediterraneo. Riguarda anche altre parti d’Europa. Cosa si aspetta per esempio dalla Polonia, dalla Russia e da altri Paesi, come la Germania dal suo nuovo governo…
“Ora è di moda fare muri o fili spinati o anche il filo con le concertinas. La prima cosa che io direi è: pensa al tempo in cui tu eri migrante e non ti lasciavano entrare. Eri tu che volevi scappare dalla tua terra e adesso sei tu a volere costruire dei muri. Chi costruisce muri perde il senso della storia, della propria storia. Di quando era schiavo di un altro Paese. Coloro che costruiscono dei muri hanno questa esperienza, almeno una gran parte: quella di essere stati schiavi. Lei potrebbe dirmi: ma i governi hanno il dovere di governare. E se arriva una ondata così di migranti non si può governare. Io dirò questo: ogni governo deve dire chiaramente “io ne posso ricevere tanti” .. Perché i governanti sanno quanti sono quanti migranti sono capaci di ricevere. Questo è loro diritto, è vero. Ma i migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati. Se un governo non può accogliere oltre un certo numero, deve entrare in dialogo con altri Paesi, per questo è importante l’Unione Europea. Pensiamo a Cipro, o alla Grecia. O anche a Lampedusa, alla Sicilia. Arrivano i migranti e non c’è l’armonia tra tutti i paesi per mandare questi qui, o là, o là. Ripeto l’ultima parola che ho detto: integrati. Perché se tu non integri il migrante, questo migrante avrà una cittadinanza di ghetto. L’esempio che mi ha colpito di più è la tragedia di Zaventem, i ragazzi che hanno fatto quella catastrofe all’aeroporto erano belgi, ma figli di migranti ghettizzati, non integrati. Non è facile accogliere i migranti, risolvere il problema dei migranti, ma se noi non risolviamo il problema dei migranti rischiamo di far naufragare la civiltà, oggi, in Europa, per come stanno le cose, la nostra civiltà. Per me un modello a suo tempo di integrazione, di accoglienza, è stata la Svezia, che ha accolto i migranti latinoamericani che fuggivano dalle dittature (cileni, argentini, brasiliani, uruguaiani) e li ha integrati. Oggi ad Atene sono stato in un collegio. Ho guardato. E ho detto al traduttore ma qui c’è una macedonia di culture. Sono tutti mischiati. Ho usato una espressione domestica. Lui mi ha risposto: Questo è il futuro della Grecia, crescere nell’integrazione. Ma c’è un altro dramma che voglio sottolineare. E’ quando i migranti, prima di arrivare cadono nelle mani dei trafficanti che gli tolgono tutti i soldi che hanno e li trasportano sui barconi, quando sono rimandati indietro, li riprendono questi trafficanti. E ci sono al Dicastero per i migranti dei filmati che mostrano cosa succede nei posti dove vanno quando sono rimandati indietro. Così come non si può solo accoglierli, e lasciarli ma dobbiamo accompagnarli, promuoverli integrali”.
Cecile Chambraud (Le Monde):
A proposito del rapporto Sauvé sugli abusi: la Chiesa aveva una responsabilità istituzionale e il fenomeno aveva una dimensione sistemica. Che pensa di questa dichiarazione e che cosa significa per la Chiesa universale?
“Quando si fanno questi studi dobbiamo stare attenti nelle interpretazioni che si facciano per settori di tempo. Quando si fa uno studio su in un tempo così lungo, c’è il rischio di confondere il modo di sentire il problema di un’epoca settanta anni prima dell’altra. Vorrei soltanto dire questo come principio: una situazione storica va interpretata con l’ermeneutica dell’epoca, non con la nostra. Per esempio, la schiavitù. Noi diciamo: è una brutalità. Gli abusi di settanta o cento anni fa sono una brutalità. Ma il modo con cui la vivevano loro, non è lo stesso di oggi: per esempio nel caso degli abusi nella Chiesa l’atteggiamento era di coprire. Atteggiamento che si usa purtroppo anche nella grande quantità delle famiglie, nei quartieri. Noi diciamo, no, non va questo coprire. A proposito del rapporto: non l’ho letto, ho ascoltato il commento dei vescovi francesi. Verranno i vescovi da me in questo mese e domanderò che mi spieghino la cosa”.
Vera Scherbakova (Itar-Tass)
Lei ha visto i capi delle chiese ortodosse e ha detto parole bellissime sulla comunione e la riunificazione: quando incontrerà Cirillo, quali progetti comuni avete e quali difficoltà riscontra in questo cammino?
“È nell’orizzonte non lontano un incontro con il patriarca Kyrill, credo che la prossima settimana viene da me Ilarion per concordare un possibile incontro. Il patriarca deve viaggiare, forse in Finlandia, e io sono comunque sempre disposto ad andare a Mosca, per dialogare con un fratello. Per dialogare con un fratello non ci sono protocolli, ci diciamo le cose in faccia. E’ bello vedere litigare i fratelli perché appartengono alla stessa madre, la madre Chiesa, ma sono un po’ divisi alcuni per l’eredità, altri per la storia che li ha divisi. Dobbiamo cercare di andare insieme, lavorare e camminare in unità e per l’unità. Sono riconoscente a Ieronymos, a Crysostomos e a tutti patriarchi che hanno questa voglia di camminare insieme. Il grande teologo ortodosso Ziziulas, sta studiando l’escatologia, e scherzando una volta disse: l’unità la troveremo nell’Escaton! Lì sarà l’unità. Ma è un modo per dire: non dobbiamo stare fermi aspettando che i teologi si mettano d’accordo. Quello che dicono che Atenagora abbia detto a Paolo VI: mettiamo tutti i teologi su un’isola a discutere e noi andiamo insieme da un’altra parte. Ma questo è uno scherzo. Che i teologi continuino a studiare perché questo ci fa bene e ci porta a capire bene il trovare l’unità, nel frattempo noi andiamo avanti insieme, pregando insieme, facendo la carità insieme. Lavorare insieme e pregare insieme, questo possiamo farlo”.