“Tra i motivi dell’oblio di quello che conta non si annoveri però la nostra incuria, lo scandalo di impegnarci in altro e non nell’annunciare il Dio che dà pace alla vita e la pace che dà vita agli uomini. Sosteniamoci in questo, diamo seguito al nostro incontro odierno, camminiamo insieme!“. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai Membri del Muslimms Council of Elders. Un discorso durante il quale il Pontefice ha ribadito l’importanza di costruire la pace in tutto il mondo perché “il Dio della pace non asseconda mai la violenza“.
Il testo integrale del discorso di Papa Francesco
“Caro Dottor Ahmad Al-Tayyeb, Grande Imam di Al-Azhar, cari Membri del Muslim Council of Elders, cari amici, As-salamu alaikum! Vi saluto cordialmente, augurandovi che la pace dell’Altissimo scenda su ciascuno di voi: su di voi, che intendete promuovere la riconciliazione per evitare divisioni e conflitti nelle comunità musulmane; su di voi, che vedete nell’estremismo un pericolo che corrode la vera religione; su di voi, che vi impegnate a dissipare interpretazioni errate che attraverso la violenza fraintendono, strumentalizzano e danneggiano un credo religioso. La pace scenda e rimanga su di voi, che desiderate diffonderla instillando nei cuori i valori del rispetto, della tolleranza e della moderazione; su di voi, che vi proponete di incoraggiare relazioni amichevoli, mutuo rispetto e fiducia reciproca con quanti, come me, aderiscono a una fede religiosa diversa; su di voi, che volete favorire nei giovani un’educazione morale e intellettuale che contrasti ogni forma di odio e intolleranza. As-salamu alaikum! Dio è Fonte di pace. Ci conceda di essere, ovunque, canali della sua pace!
Davanti a voi vorrei ribadire che il Dio della pace mai conduce alla guerra, mai incita all’odio, mai asseconda la violenza. E noi, che crediamo in Lui, siamo chiamati a promuovere la pace attraverso strumenti di pace, come l’incontro, le trattative pazienti e il dialogo, che è l’ossigeno della convivenza comune. Tra gli obiettivi che vi proponete c’è quello di diffondere una cultura della pace basata sulla giustizia. Vorrei dirvi che questa è la via, anzi l’unica via, in quanto la pace «è opera della giustizia (Gaudium et spes, 78). Scaturisce dalla fraternità, cresce attraverso la lotta all’ingiustizia e alle disuguaglianze, si costruisce tendendo la mano agli altri» (Discorso in occasione della Lettura della Dichiarazione finale e Conclusione del VII ‘Congress of Leaders of World and Traditional Religions’, 15 settembre 2022). La pace non può essere solo proclamata, va radicata. E ciò è possibile rimuovendo le disuguaglianze e le discriminazioni, che ingenerano instabilità e ostilità. Io vi ringrazio per il vostro impegno in tal senso, come pure per l’accoglienza che mi avete riservato e per le parole che avete pronunciato. Vengo a voi come credente in Dio, come fratello e pellegrino di pace. Vengo a voi per camminare insieme, nello spirito di Francesco di Assisi, il quale era solito dire: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori» (Leggenda dei tre compagni, XIV,5: FF 1469). Mi ha colpito vedere come in queste terre sia consuetudine, nell’accogliere un ospite, non solo stringergli la mano, ma anche portarsi la mano al cuore in segno di affetto. Come a dire: la tua persona non rimane a me distante, ma entra nel mio cuore, nella mia vita. Porto anch’io la mano al cuore con rispettoso affetto, guardando ciascuno di voi e benedicendo l’Altissimo per la possibilità di incontrarci. Credo che abbiamo sempre più bisogno di incontrarci, di conoscerci e di prenderci a cuore, di mettere la realtà davanti alle idee e le persone prima delle opinioni, l’apertura al Cielo prima delle distanze in Terra: un futuro di fraternità davanti a un passato di ostilità, superando i pregiudizi e le incomprensioni della storia in nome di Colui che è Fonte di Pace. D’altronde, come potranno i fedeli di religioni e culture diverse convivere, accogliersi e stimarsi a vicenda se noi restiamo estranei gli uni agli altri? Lasciamoci guidare dal detto dell’Imam Ali: «Le persone sono di due tipi: o tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità», e sentiamoci chiamati ad avere cura di tutti coloro che il disegno divino ci ha posto accanto nel mondo. Esortiamoci «a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» (Nostra aetate, 3). Sono compiti che spettano a noi, guide religiose: al cospetto di un’umanità sempre più ferita e lacerata che, sotto il vestito della globalizzazione, respira con affanno e paura, i grandi credo sono tenuti a essere il cuore che unisce le membra del corpo, l’anima che dà speranza e vita alle aspirazioni più alte. In questi giorni ho parlato della forza della vita, che resiste nei deserti più aridi attingendo all’acqua dell’incontro e della convivenza pacifica. Ieri l’ho fatto prendendo spunto dal sorprendente ‘albero della vita’ che si trova qui in Bahrein. Il racconto biblico, che abbiamo ascoltato, pone l’albero della vita al centro del giardino delle origini, al cuore del meraviglioso progetto di Dio per l’uomo, un disegno armonico capace di abbracciare tutta la creazione. L’essere umano, tuttavia, ha preso le distanze dal Creatore e dall’ordine da Lui stabilito. Da qui hanno avuto origine problemi e squilibri, che nella narrazione biblica si susseguono l’uno all’altro: liti e omicidi tra fratelli (cfr Gen 4), disordini e devastazioni ambientali (cfr Gen 6-9), superbia e contrasti nella società umana (cfr Gen 11)… Un’alluvione di male e di morte è insomma scaturita dal cuore dell’uomo, dalla scintilla malefica scatenata da quel male che sta accovacciato alla porta del suo cuore (cfr Gen 4,7), per incendiare il giardino armonico del mondo. Ma tutto questo male si radica nel rifiuto di Dio e del fratello: nel perdere di vista l’Autore della vita e nel non riconoscersi più custodi dei fratelli. Perciò le due domande che abbiamo ascoltato permangono sempre valide e, al di là del credo professato, interpellano ogni esistenza e ogni epoca: «Dove sei?» (Gen 3,9); «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9).
Cari amici, fratelli in Abramo, credenti nel Dio unico, i mali sociali e internazionali, quelli economici e personali, nonché la drammatica crisi ambientale che caratterizza questi tempi e sulla quale qui oggi si è riflettuto, provengono in ultima analisi dall’allontanamento da Dio e dal prossimo. Noi, dunque, abbiamo un compito unico e imprescindibile, quello di aiutare a ritrovare queste sorgenti di vita dimenticate, di riportare l’umanità ad abbeverarsi a questa saggezza antica, di riavvicinare i fedeli all’adorazione del Dio del cielo e agli uomini per i quali Egli ha fatto la terra. In che modo? I nostri mezzi sono essenzialmente due: la preghiera e la fraternità. Sono queste le nostre armi, umili ed efficaci. Non dobbiamo lasciarci tentare da altri strumenti, da scorciatoie indegne dell’Altissimo, il cui nome di Pace è insultato da quanti credono nelle ragioni della forza, alimentano la violenza, la guerra e il mercato delle armi, ‘il commercio della morte’ che attraverso somme di denaro sempre più ingenti sta trasformando la nostra casa comune in un grande arsenale. Quante trame oscure e quante dolorose contraddizioni dietro a tutto questo! Pensiamo, ad esempio, a quante persone si vedono costrette a migrare dalla propria terra a causa di conflitti foraggiati dall’acquisto a prezzi contenuti di armamenti datati, per venire poi individuate e respinte presso altre frontiere attraverso apparecchiature militari sempre più sofisticate. E così la speranza viene uccisa due volte! Ebbene, davanti a questi scenari tragici, mentre il mondo insegue le chimere della forza, del potere e del denaro, noi siamo chiamati a ricordare, con la saggezza degli anziani e dei padri, che Dio e il prossimo vengono prima di ogni altra cosa, che solo la trascendenza e la fratellanza ci salvano. Sta a noi dissotterrare queste fonti di vita, altrimenti il deserto dell’umanità sarà sempre più arido e mortifero. Soprattutto, sta a noi testimoniare, più coi fatti che con le parole, che crediamo in questo. Abbiamo una grande responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini e dobbiamo essere modelli esemplari di quanto predichiamo, non solo presso le nostre comunità e a casa nostra – non basta più – ma nel mondo unificato e globalizzato. Noi che discendiamo da Abramo, padre nella fede delle genti, non possiamo avere a cuore soltanto ‘i nostri’ ma, sempre più uniti, dobbiamo rivolgerci all’intera comunità umana che abita la Terra. Perché tutti si pongono, almeno nel segreto del cuore, le medesime grandi domande: chi è l’uomo, perché il dolore, il male, la morte, l’ingiustizia, cosa c’è dopo questa vita? In molti, però, anestetizzati da un materialismo pratico e da un consumismo paralizzante, gli stessi quesiti giacciono assopiti, mentre in altri vengono messi a tacere dalle piaghe disumane della fame e della povertà. Tra i motivi dell’oblio di quello che conta non si annoveri però la nostra incuria, lo scandalo di impegnarci in altro e non nell’annunciare il Dio che dà pace alla vita e la pace che dà vita agli uomini. Sosteniamoci in questo, diamo seguito al nostro incontro odierno, camminiamo insieme! Saremo benedetti dall’Altissimo e dalle creature più piccole e deboli che Egli predilige: dai poveri, dai bambini e dai giovani, che dopo tante notti oscure attendono il sorgere di un’alba di luce e di pace”.