Onu: il granchio blu costa troppo e danneggia l’ecosistema

granchio blu

Foto di Milada Vigerova su Unsplash

Un nuovo studio dell’Onu spiega come la presenza del granchio blu e di altre specie invasive abbia un impatto distruttivo sia per gli esseri umani, sia per la vita selvatica, causando talvolta estinzioni e danneggiando la sana funzione di un ecosistema

Il granchio blu nei mari italiani, i parrocchetti nei cieli, le nutrie nei fiumi: il nostro Paese soffre come molti altri dell’invasione di specie aliene dannose che, secondo l’Onu, vengono registrate ogni anno in 3.500 in ogni regione della Terra e costano annualmente 423 miliardi di dollari in tutto il mondo.

La valutazione è stata prodotta dalla Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes), il principale organismo delle Nazioni Unite sulla scienza della biodiversità, frutto del lavoro di 86 esperti – tra cui scienziati e comunità indigene – nell’arco di quattro anni e mezzo, ed è stata approvata dai governi lo scorso fine settimana a Bonn.

La crescita dei traffici e dei commerci ha originato e incrementato l’impatto di specie animali e vegetali che non hanno alcun rapporto con i luoghi dove cominciano a riprodursi e che, in altre parole, non dovrebbero stare dove stanno.

“Il loro impatto è distruttivo per gli esseri umani e per la vita selvatica, causando talvolta estinzioni e danneggiando in modo permanente le sana funzione di un ecosistema” evidenzia il Guardian, rilanciando la valutazione delle Nazioni Unite sulle conseguenze delle specie invasive, diventate una delle principali minacce alla diversità della vita sulla Terra. Un drammatico esempio? La vegetazione “non nativa” che ha alimentato, intensificandole, le fiamme che hanno devastato le Hawaii il mese scorso.

Numeri impressionanti

Secondo gli scienziati il fenomeno è ancora sottostimato se non ignorato, ma le specie aliene invasive che si sono risistemate dove non dovrebbero essere, già identificate, sono oltre 37 mila in tutto il mondo e circa 200 nuove si stabiliscono ogni anno. Come riferito dal Guardian, le tre specie più invasive includono il giacinto d’acqua, una pianta originaria del Sud America tropicale che blocca i corsi d’acqua e danneggia la pesca; l’arbusto da fiore lantana e il ratto nero.

Nell’elenco delle specie esotiche fuori luogo e dannose rientrano specie di zanzare invasive, come Aedes albopictus e Aedes AEgypti, che diffondono il virus del Nilo occidentale e il virus Zika, e in Italia il granchio blu, che ha già invaso i mari e persino il Po, nel quale è stato pescato nel Ferrarese.

Il granchio blu

È arrivato dall’America, probabilmente nelle acque di sentina delle navi, il posto più buio e basso, sotto le stive, e ha rapidamente colonizzato parte della Laguna di Venezia, dove sta facendo razzia di cozze e vongole, con le sue potenti chele che riescono a spezzare i gusci.

In Veneto un pool di esperti sta monitorando l’animale e segue la sua evoluzione ambientale, mentre gli esperti dell’Universita’ di Ferrara stanno studiando la loro grande capacita’ di movimento e soprattutto la loro adattabilità all’acqua dolce. Ma a quanto pare il granchio blu avrebbe le ore contate in quanto il suo killer è già approdato in Italia: il pesce gatto americano, un’altra specie aliena. (

Le specie più invasive

Sono state rilevate nelle Americhe con il 34% di tutte le segnalazioni, seguite da Europa e Asia centrale (31%), Asia Pacifico (25%) e Africa (7%). Tre quarti delle segnalazioni riguardavano ecosistemi terrestri, principalmente boschi e foreste boreali. Gli autori hanno inoltre scoperto che il costo delle invasioni biologiche è aumentato del 400% ogni decennio dal 1970 e, secondo le previsioni, continuerà a salire negli anni a venire.

“Una delle nostre reali preoccupazioni è la perdita dell’unicità delle comunità di vita. Man mano che vediamo specie più invasive in tutto il mondo, iniziamo a vedere le comunità che sembrano più simili. Naturalmente nutriamo preoccupazioni riguardo al funzionamento di tali ecosistemi e alla loro resilienza”, ha analizzato Helen Roy, che ha diretto la ricerca con Anibal Pauchard e Peter Stoett.

Soluzioni e strumenti

Anche se non tutte queste specie diventeranno invasive, gli esperti affermano che esistono strumenti significativi per mitigarne la diffusione e l’impatto, proteggendo e ripristinando gli ecosistemi nel processo, come già concordato alla Cop15 sulla biodiversita’ dello scorso dicembre a Montreal, parte degli obiettivi globali di questo decennio.

Secondo il rapporto Onu, i programmi di eradicazione sulle isole, che sono colpite in modo sproporzionato dalla diffusione di specie invasive, hanno avuto un tasso di successo dell’88%. Ma gli esperti ritengono che l’accento debba essere spostato sulla prevenzione della diffusione delle specie invasive anziche’ su costosi programmi di eradicazione.

“Vogliamo sottolineare che la cosa che funziona meglio è la prevenzione. Questo è il messaggio principale. È molto più conveniente prevenire l’introduzione di specie invasive, adottando misure di biosicurezza, controlli alle frontiere e analisi del rischio di specie non autoctone introdotte intenzionalmente”, ha dichiarato Pauchard.

Lo studio Onu ha infine rilevato che, nonostante il recente obiettivo globale delle Nazioni Unite sul controllo della diffusione delle specie invasive, l’84% dei Paesi non dispone ancora di leggi o regolamenti nazionali specifici. La Nuova Zelanda è una delle poche nazioni ad avere politiche ambiziose in materia, con l’obiettivo di sradicare tutte le specie invasive dalle sue isole entro la metà del secolo.

Fonte: Agi

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