Il prossimo 21 settembre ricorrerà il trentesimo anniversario dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, assassinato brutalmente dalla Stidda agrigentina sulla cosiddetta Strada degli Scrittori, fra Agrigento e Caltanissetta. Un delitto atroce, commesso con violenza e freddezza, che impedì al giovane magistrato (38 anni appena al momento dell’omicidio) di terminare le sue inchieste contro la criminalità organizzata, che avevano già duramente colpito gli interessi della malavita (e che avrebbero di lì a poco portato alla luce la cosiddetta Tangentopoli siciliana). Ora, a una manciata di giorni dalla ricorrenza della sua morte, e nel pieno delle celebrazioni per onorarne la memoria, uno dei mandanti del suo omicidio usufruisce di un permesso premio.
Il permesso premio
Una notizia che irrompe con forza nella settimana in cui il ricordo del giudice è più vivo che mai. A usufruire della licenza, stabilita dalla magistratura di Sorveglianza di Padova, è stato il 64enne Giuseppe Montanti, condannato all’ergastolo nel 1999 dalla Corte d’assise di Caltanissetta. E’ il primo permesso (dopo due dinieghi, ottenuti nel 2018 e nel 2019) al detenuto, che ha trascorso gli ultimi vent’anni in regime di carcere duro. La concessione dei magistrati ha permesso all’uomo, per un totale di nove ore, di incontrare parenti, amici e ricevere telefonate prima di far rientro in penitenziario, dove era stato rinchiuso dopo un periodo di latitanza in Messico.
La reazione dei familiari
La notizia ha colpito in negativo i familiari del giudice Livatino, anche perché arrivata quasi in concomitanza con il trentesimo anniversario dell’omicidio. “Senza voler entrare in polemica con alcuno – ha fatto sapere suo cugino Enzo Gallo, citato dall’Ansa – anche perché è acceso il dibattito di questi giorni sulla metodologia così come sulla legislazione in materia di concessione di permessi premio ai carcerati per gravi delitti contro la persona, in merito alla concessione e all’esercizio di un diritto previsto dalla legge ad uno dei mandanti dell’omicidio Livatino c’è solo da riflettere e valutare come lo Stato Italiano voglia atteggiarsi in futuro verso un problema anche di coscienza”.
Rosario Livatino, un Servo di Dio
Secondo Gallo “Montanti, dopo 20 anni passati in carcere con un comportamento pare esemplare può godere di questo premio. Lo prevede la legge e quindi è un suo diritto. Per dirla come la vittima dura lex, sed lex“. Il punto, secondo il parente del magistrato, è un altro: “E’ forse un segnale che di questa concessione di beneficio si stia avendo notizia solo oggi a meno di una settimana dal trentennale del vile e barbaro omicidio mafioso di un valido servitore dello Stato nonché unico figlio degli anziani genitori”. Per il giudice Livatino è in corso un processo di beatificazione, aperto nel 2011 nella sua Canicattì, dopo quasi vent’anni di un intenso lavoro di raccolta di testimonianze. Al magistrato è attribuito ora il titolo di Servo di Dio.